La guerra, il pane e il reddito di cittadinanza

Le sfide decisive in periodo segnato da svolte epocali. Un contributo del portavoce dell'Alleanza italiana conro la povertà  
Pane Foto di Couleur da Pixabay

C’è uno studio degli anni ’90 che dichiara in “povertà energetica” la famiglia che spende più del 10% del proprio reddito in beni e servizi energetici. Si tenga conto che l’incidenza della spesa energetica è maggiore per le famiglie povere e minore per le famiglie ricche: le più ricche spendono meno del 4% del loro reddito, le più povere oltre l’8%. Ma ora attenzione: l’inflazione energetica, ossia l’aumento dei prezzi dei beni e servizi per elettricità e riscaldamento, nel 2021 era del 16,8% e ora – in base all’andamento dei primi mesi del 2022 – è del 64,7%.

Se noi proiettiamo i dati dell’inflazione energetica sui redditi, lo scenario 2022 cambia così: le famiglie più ricche spenderanno poco più del 5% del loro reddito, le più povere quasi il 14%. Abbiamo scampato la parte finale dell’inverno, ma da novembre in avanti, ossia col freddo, il rischio di un aggravamento delle forme di deprivazione materiale sarà evidente.

Basterà il Reddito di cittadinanza (RdC)? Durante la pandemia da Covid-19 il RdC si rivelò insufficiente e fu necessario integrarlo col Reddito di emergenza, una misura che attenuava i rigidi requisiti previsti dalla misura consentendo di accedere a un sussidio statale anche a chi era in una condizione border line, al limite.

Ora il governo Draghi si è mosso col famoso bonus dei 200 euro, che però è una tantum. Occorrerà tornare all’indicizzazione di stipendi e salari, alla scala mobile? Il governo Draghi, anche in sede europea, ha spinto per l’introduzione di un tetto al prezzo del gas (il price cap), anche perché il costo del metano si è inspiegabilmente alzato rispetto al suo valore di mercato. Ci sono forze che si muovono più o meno occultamente, e non sempre hanno obiettivi di bene comune.

Se dovessimo prendere spunto dalle speculazioni nel mercato del grano, allora ci dovremmo seriamente preoccupare: c’è chi si sta approfittando della situazione. Purtroppo anche la vicenda del grano, e dunque del pane e della pasta, conducono allo stesso risultato: e così alla povertà energetica si associa la povertà alimentare.

L’aumento generale dei prezzi è ormai un dato di fatto. Di più temiamo solo la cosiddetta economia di guerra, che metterà a rischio molte imprese (anche quelle che hanno deciso di posticipare gli investimenti e tagliare la produzione e i posti di lavoro), che rischia di spostare le risorse pubbliche più sulle armi che sul welfare, nonostante una povertà nazionale aggravata da due anni di pandemia.

Che fare, allora? Due considerazioni, una contingente e una complessiva. La contingente è che rimane fondamentale riformare il RdC. È l’unico strumento a disposizione per contrastare la povertà e adattato per poter essere più efficace (e più efficiente, per evitare i falsi poveri). Il RdC era nato per “abolire la povertà”: non poteva farlo e non l’ha fatto. Ma ora il rischio è che sia abolito esso stesso.

La campagna di delegittimazione è potente e contiene il pericolo che assieme al RdC sia delegittimato anche il povero, colpevole di non lavorare, di non cavarsela da solo. Peraltro nel nostro Dna storico-culturale la figura della povertà come colpa non manca. Per questo bisogna continuare a sollecitare governo e Parlamento a recepire alcune delle proposte avanzate dal Comitato di valutazione del RdC istituito presso il Ministero del lavoro, dalla Caritas, dall’Alleanza contro la povertà in Italia. La volontà politica è essenziale.

La considerazione più complessiva si colloca nell’ambito della politica. In autunno le forze politiche inizieranno le manovre che si concluderanno con le elezioni della primavera 2023. È evidente che servirà tanta concretezza per chiedere e promuovere alcune misure operative a contrasto dei problemi sociali più scottanti, a partire dalla povertà. Ma altrettanto servirà disegnare un’evoluzione della nostra economia e del nostro modo di fare welfare in grado di dare una risposta convincente alla stabile incertezza. La guerra è una (tragica) svolta nell’ordine geopolitico globale e serve tornare a pensare un modello di sviluppo che sia inclusivo, pacifico, sostenibile, innovativo.

Quanto ha avuto ragione papa Francesco a ricordarci che non possiamo vivere da sani (o fingerci sani) in un mondo malato! Le cose costano: la democrazia, l’ambiente, la pace, il welfare, il benessere, il diritto, la benzina, il grano, il cobalto. Dobbiamo fare i conti con la realtà delle cose, coi megatrend che si muovono, dirci le verità che conosciamo e poi scegliere con le regole della politica. Perché quando si manifestano le tragedie, quando la povertà o la morte rischiano di rappresentare un destino duraturo, allora capisci che qualche responsabilità politica c’è. Serve tornare a fare politica nel senso pieno del termine, quello con P maiuscola (i valori) e quello con P minuscola (la bolletta del gas): ma senza dividerle, perché l’errore sta proprio lì. Tutto, invece, si tiene.

 

A Milano il Fondo “Diamo Lavoro”

 

La stagione del Covid ha dimostrato che proprio la precarietà del lavoro è causa principale dell’impoverimento di tante famiglie. Le quali finiscono per ingrossare le fila dei working poor, incapaci di affrancarsi autonomamente dallo stato di necessità.

Già nel 2008 l’arcidiocesi di Milano aveva varato il Fondo Famiglia Lavoro, come risposta alle gravi crisi finanziarie e occupazionali dell’epoca. Quell’iniziativa ha avuto notevole successo, supportando in 10 anni 7 mila famiglie grazie alla distribuzione di risorse per 13,5 milioni di euro. Ma ha rivelato che lo strumento emergenziale e assistenziale del contributo a fondo perduto, pur indispensabile nell’immediatezza di una crisi imprevedibile e diffusa, non è sufficiente a rovesciare tendenze di impoverimento di lungo periodo.

A partire dal 2016 l’iniziativa si è profondamente rinnovata e ha assunto le sembianze del Fondo “Diamo Lavoro”, strumento di politica attiva del lavoro il cui obiettivo è coinvolgere soggetti imprenditoriali (profit e non profit), realtà territoriali (parrocchie, centri d’ascolto, associazioni), e lavoratori e aspiranti lavoratori, in un’iniziativa centrata sulla creazione di percorsi formativi e di qualificazione professionale, propedeutici all’ingresso nel mondo del lavoro di persone con fragilità occupazionali, sociali, relazionali. Si possono aiutare tante persone a ritrovare un ruolo attivo nella società, evitando che scivolino verso la povertà, e a raggiungere la dignità personale che il lavoro può garantire

 

Luciano Gualzetti, direttore Caritas Ambrosiana

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