Sfoglia la rivista

Mondo > In punta di penna

La guerra di Israele contro tutti

di Michele Zanzucchi

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

Dopo annunci e minacce, Tel Aviv ha lanciato un’offensiva massiccia contro Teheran e altri siti iraniani, per evitare che gli ayatollah si dotino dell’arma nucleare (così almeno dicono loro)

Una bandiera israeliana su un’auto distrutta dopo un attacco a Ramat Gan, vicino Tel Aviv, Israel, 14 giugno 2025. L’esercito israeliano ha dichiarato che l’Iran ha lanciato decine di missili e droni verso Israele, alcuni dei quali sono stati intercettati. Il Magen David Adom (MDA), il servizio di emergenza nazionale israeliano, ha riferito di almeno tre morti e decine di feriti, alcuni dei quali in condizioni critiche, negli attacchi di rappresaglia. Il 13 giugno Israele ha lanciato attacchi contro le strutture nucleari e militari dell’Iran, prendendo di mira generali e scienziati di alto rango. Ansa EPA/ABIR SULTAN

Il segnale più evidente che qualcosa stava per accadere, e di grosso, era stato l’ordine di evacuazione di alcune ambasciate statunitensi nel quadrante mediorientale – in particolare Kuwait, Bahrein e Iraq –, per minacce non meglio definite alla sicurezza dei siti diplomatici. Quindi Washington, mentre cercava di far avanzare le trattative con Teheran per la denuclearizzazione dell’Iran, nello stesso tempo era al corrente della volontà degli israeliani e ha lasciato fare. Anzi, subito dopo i primi raid, Trump ha detto che le trattative che erano previste in Oman sarebbero andate a buon fine e che l’Iran dovrebbe accettare il compromesso. Israele ha così almeno 6 fronti aperti ormai: Gaza, Territori palestinesi, Libano/Hezbollah, Siria, Yemen e Iran. Come dire, la guerra non è un dettaglio, ma è lo stato permanente del micro-universo israeliano.

Nell’attacco – che, secondo l’IDF, durerà forse due settimane – si vuole raggiungere alcuni obiettivi precisi: decapitare il comando militare (iniziata con l’uccisione del capo di Stato maggiore e di quello dei Pasdaran), distruzione di centri di ricerca e depositi del sistema nucleare iraniano, danni ad aerei e arsenali, in particolare alle batterie missilistiche. Centinaia sono stati gli aerei impiegati, impressionante il supporto missilistico, efficientissimi i servizi di cyberwar

Ci si chiede ora come reagirà Teheran  – i cento droni lanciati contro Israele nel primo giorno erano un aperitivo di quello che sta avvenendo in queste ore –, se cioè abbia risorse sufficienti per reagire e farlo durevolmente, o se il suo apparato militare, già indebolito dalle iniziative israeliane degli ultimi anni, sia realmente in ginocchio. Certo è che, in certi ambienti politico-militari iraniani la tentazione di produrre finalmente la bomba atomica deve essere ormai considerata una soluzione auspicabile per prendersi una sonora rivincita per le continue umiliazioni che da qualche anno in qua i vertici iraniani debbono sopportare. D’altra parte, le affermazioni perentorie e unilaterali di Tel Aviv, rilanciate peraltro dal presidente Trump – Teheran non può avere l’atomica – ci si chiede se abbiano qualche base politica, perché l’Iran ha sì firmato il trattato di non proliferazione nucleare (TNP) e anche il JCPOA – con cui accettava di non dotarsi dell’arma nucleare, in cambio della cessazione delle sanzioni contro il Paese –, ma nel frattempo tali sanzioni sono state accentuate, e anche Israele non ha mai firmato il trattato e s’è al contrario dotato nel frattempo della bomba atomica. Inoltre, Israele è campione assoluto nel disattendere le decisioni di quel che resta della comunità internazionale, in buona compagnia, è vero.

La politica statunitense continua a lasciare perplessi, tutta giocata sulla regola dello “stop and go”, secondo i voleri dell’occupante della Casa Bianca, che pare l’unico vero autore della politica estera statunitense: gli apparati della segreteria di Stato spesso e volentieri si trovano a prendere decisioni volute sì dal presidente, ma poi da lui stesso smentite o mutate. Già non pochi funzionari hanno gettato la spugna, per non riuscire a capire e assecondare le richieste del loro capo.

Quali scenari si aprono? Difficile dirlo, se non constatando che nelle guerre oggi aperte c’è una linea rossa da non superare, quella dell’uso delle armi atomiche, che siano tattiche o strategiche, chirurgiche o ad effetto ampio. La coscienza dei governanti ha finora impedito che tale linea fosse superata; ma la frustrazione che alberga in alcuni governi potrebbe far superare ogni remora al suo superamento. Dio non voglia che accada, le consegue sarebbero incontrollabili. Giocare col fuoco è un modo di fare politica che ha portato a guerre e distruzioni mondiali.

D’altra parte, la mancanza di istituzioni internazionali e transnazionali credibili e il crescere dei nazionalismi e dei sovranismi fa sì che il più forte – almeno apparentemente – alzi la voce e attacchi, in una escalation di minacce, vendette e violenze che rischia di portare al peggio,  senza alcuna attenzione per le sofferenze dei civili. St accadendo ora dalle due parti. E sta avvenendo a Gaza è ormai parte del tragico elenco dei crimini contro l’umanità (ma in realtà, ogni guerra è un crimine contro l’umanità). Sui social la cattiveria cresce a dismisura, e così l’odio. Numerosissimi sono i post che dicono: adesso gli israeliani sperimenteranno una piccola parte delle sofferenze che stanno imponendo da due anni agli abitanti di Gaza. Ma così si va dritti dritti contro il muro.

Riproduzione riservata ©

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Esplora di più su queste parole chiave
Condividi

Ricevi le ultime notizie sul tuo WhatsApp. Scrivi al 342 6266594