La grande possibilità di David

Il ballo era stato il suo dio. Ora ha ripreso a danzare, ma con animo diverso. Un virtuoso del tip-tap che si prepara a diventare prete.
David River

Incontro David Rider a Roma, al Collegio Nordamericano. Viene da New York dove, fino a due anni fa, prima di entrare in seminario, teneva una scuola di tip-tap. Ha 27 anni. In un italiano perfetto, ma con l’inconfondibile marchio nordamericano, il suo racconto prende le tinte di una favola.

«Sono un ballerino di tip-tap, ballo diventato famoso attraverso i film di Fred Astaire e Gene Kelly negli anni Cinquanta. Ho cominciato a ballare quando avevo tre anni, e con l’aiuto di bravi maestri sono arrivato a 14 anni a una professionalità che mi permetteva di avere una mia scuola di danza, che ho diretto fino ai 24 anni. Ho fatto spettacoli, tournée, finché non sono entrato in seminario».

 

Com’ è che ti prepari a diventare sacerdote?

«Provengo da una famiglia tradizionale e bella, cattolica. Ho riscoperto la mia fede a 17 anni, attraverso un insegnante del liceo. La mia vita è cambiata, ho cominciato a chiedere a Dio di mostrarmi come essere cristiano autentico. Nel 2002 sono stato invitato alla Giornata mondiale dei giovani a Toronto. Il bus partiva dalla cittadella dei Focolari “Luminosa”, che non era distante da dove abitavamo noi. Ho chiesto a un focolarino cos’era che lo rendeva sempre gioioso: “Se tu vuoi essere felice, ogni mattina, quando ti alzi, cerca di fare un atto d’amore, e poi ancora uno, ancora uno”.

 

«Sono tornato a casa. In cucina c’erano delle lampadine fulminate da anni. Quasi ogni settimana mia madre ricordava a mio padre che era ora di sostituirle. Lui non l’aveva mai fatto. Sono andato a comprare le lampadine e durante la notte le ho cambiate. L’indomani i miei non potevano credere ai loro occhi. Quel giorno a casa c’era un’atmosfera diversa da prima. Ogni componente della famiglia era in una disposizione benevola verso gli altri. Non lo dimenticherò mai.

 

«Scoprivo un mondo nuovo, più entusiasmante della danza. Il ballo era stato il mio dio. Ora non ne avevo più bisogno, era come se non m’interessasse più. È maturato così un nuovo apprezzamento della Chiesa e ho capito che la testimonianza più grande che avrei potuto dare agli altri poteva essere una vita tutta donata a Dio. In dubbio sulla pista da seguire, mi ha aiutato un consiglio di Chiara Lubich: “Quando non sei sicuro quale sia la volontà di Dio, scegli quello che ti costa di più”. Ho considerato tutte le strade possibili e mi sono reso conto – tenuto conto degli scandali degli abusi, della solitudine del sacerdote… – che mi sarebbe costato di più diventare prete diocesano. Così ho scelto questo. Che però per me significa scelta di Dio, del bene più grande, non del sacerdozio».

 

Intanto però è avvenuto un “ritorno” al tip-tap…

«Qualche mese fa negli Usa hanno mandato in onda un programma tivù con immagini del recente viaggio del mio vescovo a Roma dove, per qualche secondo, apparivo anch’io. Una famosa ballerina con la quale avevo ballato sei anni fa l’ha visto e, ignorando che io ero entrato in seminario, mi ha scritto un’email dicendo che sarebbe venuta a Roma per fare lezioni di tip-tap e che voleva incontrarmi.

 

«Durante un pranzo con lei e con l’organizzatore delle scuole di ballo che l’aveva invitata, mi è stato chiesto di tenere delle lezioni di danza. Sono andato allo studio, ho ballato. Dopo cinque minuti si è raccolta una folla fuori della nostra porta, attirata dall’insolito spettacolo di un ragazzo in clergyman che ballava bene. Alla fine tante domande: “Con il talento che hai, ti metti a fare il prete? Perché hai scelto questa strada, quando potresti avere tutto il successo che si può desiderare?”.

«Così sono tornato a insegnare il ballo in due scuole a livello professionale. In Italia non si sa ballare il tip-tap. In confronto agli stati Uniti, qui sono veramente principianti. Mentre io per quasi vent’anni mi sono perfezionato con dei maestri. Ora ballo non più per me, ma per essere testimone di altri valori. Cerco soltanto di essere un dono per chi mi sta davanti. Dio poi fa il resto».

 

Sarà difficile conciliare la tua vita con le proposte di un certo ambiente…

«Certo, devo stare attento. Per questo io dipendo dalla grazia di Dio. Mi aiuta poter parlare di queste cose con altri seminaristi animati dalla spiritualità di comunione. Questo, con la preghiera, è un grandissimo sostegno. Lo stesso rapporto di carità che stabilisco con chi incontro diventa una protezione».

 

Rimpianti o tentennamenti per la strada intrapresa?

«Due anni prima di entrare in seminario, ho fatto un ritiro di una settimana per avere una conferma interiore. Due giorni dopo, mi è arrivata una proposta: in un importante spettacolo a New York sarei stato io la figura centrale, un po’ come Fred Astaire. La somma offerta era alta. E non dovevo fare neanche provini. Come ballerino avevo in mano la grande possibilità della mia vita.

 

«Ne ho parlato con una amica del movimento: “Pensaci bene, David – mi ha detto –: quest’anno la tournée, l’anno prossimo Broadway. E poi? Quando risponderai alla chiamata? Segui Dio”. Ho comunicato la mia decisione al produttore, che però non ha capito. Chiusa la telefonata, ho cominciato a piangere: per la prima volta avevo messo Dio al posto del ballo. Mi sono inginocchiato e mentre pregavo avevo dentro una pace e una sicurezza che tuttora mi accompagnano. Sai, le scelte importanti esigono tutta la libertà».

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