La gioia di Mahler

Sinfonia n. 8 “dei Mille”. Orchestra e coro di Santa Cecilia. Kaunas State Choir e Coro di voci bianche della Radio Ungherese. Roma, Parco della Musica. C’è bisogno di una folla di esecutori per esprimere l’anelito universale alla gioia nella fine di un millennio e all’aprirsi di un altro? Beethoven, all’epoca, pensava di sì; e pure Mahler nel 1907, nel gigantismo di una Sinfonia in due parti dove si vuol dire e contenere “tutto”: una sorta di opera lirica sinfonica o, se si vuole, di “Messa solenne per il tempo presente”. Mahler tende a conciliare l’anima cristiana dell’Europa (la prima parte con il “Veni Creator Spiritus” e la seconda con la figura della Mater gloriosa) con l’illuminismo razionalista di Goethe (il finale secondo del Faust), sintetizzando tradizione musicale del passato (Bach, ma anche la lirica italiana) con le esigenze del futuro (Schönberg). Ne esce una celebrazione dell’amore, oscillante fra eros e thanatos, fra liberazione dalla colpa ed esaltazione della femminilità, che cuce i frammenti della storia (e della musica): dove quel che conta non è “capire” quanto “intuire” la verità sottesa, come spiegava Mahler. Di qui, il fluttuare fra adagi d’incanto lirico, trionfalismi di ottoni, perorazioni degli otto solisti e dei cori intersecantisi. Un mosaico variegato che per un’ora e mezzo seduce, scuote, conquista a tratti. C’è la gioia alla fine? Il corale festoso dice di sì, ma la conquista è stata tortuosa e non è definitiva. Nella seduzione della musica mahleriana, infatti, è come se mancasse un punto fermo, una certezza: in questo, forse, sta la sua attualità. Il maestro Chung ha dato una lettura chiaroscurata della Sinfonia, conducendo a buon fine la difficile direzione di orchestra e cori; immettendo, specie nella seconda parte, leggerezze aeree e moderando gli ottoni e le percussioni per dar giusto spazio al notevole cast di solisti. Un’interpretazione di buon livello, cui sarebbe piaciuto minor tecnica e più anima. Ottimi i cori. Ovazioni, meritatamente, dal pubblico. “OTELLO” A CAGLIARI Dopo 17 anni, il Teatro Lirico riporta il capolavoro verdiano della maturità, in versione integrale, con i ballabili “francesi”, che acutamente stemperano il dramma shakespeariano della gelosia “mostro dagli occhi verdi”. Grande successo di pubblico per un’edizione straordinaria: dal canto delicato di Barbara Frittoli (nell'”Ave Maria” si notava un religioso silenzio), ai toni imperiosi ma non eccessivi di Vladimir Galouzine (Otello), allo Jago di Lucio Gallo, meno malvagio del suo pur spregevole personaggio. Renato Palumbo ha diretto con fermezza e linearità, senza la veemenza pur insita nel dramma, pregevole la regia di Alberto Fassini e molto belli i balletti interpretati dall’Ensemble coreografico di Micha van Hoecke. Vincenzo Rizza

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