La fusione tra Fiat Chrysler e Peugeot

Nell'operazione, che assomiglia ad un’acquisizione da parte della società francese, i soci di Fca avranno un dividendo extra di 5,5 miliardi di euro, realizzando nel futuro 3,7 miliardi di risparmi che inevitabilmente incideranno sul costo del personale. L’esito finale della scelta, risale nel tempo a quando i vertici Fiat decisero di abbandonare la strategia di Vittorio Ghidella a favore di quella di Romiti, e poi di Marchionne

Quella tra Fiat Chrysler e Peugeot è davvero una fusione, oppure l’ennesima acquisizione industriale francese di una azienda olandese, né americana né italiana, visto che la sua sede legale è ad Amsterdam?

Seguendo il flusso del denaro, l’operazione assomiglia più ad una acquisizione. Da essa i soci FCA ottengono il pagamento di un dividendo extra di 5,5 miliardi di euro, accettando di realizzare nel futuro 3,7 miliardi di “sinergie”, cioè di risparmi; il nuovo gruppo avrà un amministratore delegato di nomina Peugeot in consiglio, offrendo così ai soci francesi per cinque anni la maggioranza. Ai soci FCA spetterà la nomina del presidente, figura di rappresentanza.

Sotto il profilo industriale la Peugeot apporta al nuovo gruppo le sue innovazioni nel settore delle vetture elettriche ed ibride e la capacità di costruire treni di produzione che sanno assemblare vetture diverse; la FCA apporta le sue fabbriche e soprattutto la presenza nei mercati americano e cinese.

L’industria automobilistica si sta velocemente evolvendo verso l’abbandono del motore a sola combustione di idrocarburi e verso le vetture a guida autonoma: invece di investire in una propria autovettura converrà prenotare col cellulare una vettura sotto casa solo quando serve. Le autovetture oggi stanno quasi sempre ferme in attesa in posteggio, col risultato di intasare le nostre strade; quando saranno condivise ne serviranno molte di meno.

Per competere in questa evoluzione occorre investire in ricerca, risorse che saranno recuperabili solo se i suoi risultati sono applicati ad un grande numero di autovetture. Ineluttabile quindi che le case automobilistiche tendano a fondersi per raggiungere la dimensione che ripaga la ricerca.

I 3,7 miliardi di “sinergie”, cioè di risparmi di gestione dovuti alla fusione – viene assicurato senza chiudere stabilimenti -, certamente includeranno anche risparmi sul costo del lavoro. Risparmi pericolosi per gli stabilimenti italiani di FCA, che hanno una capacità produttiva doppia di quella utilizzata.

In particolare per FCA la scelta della fusione è una conseguenza inevitabile delle scelte della Fiat negli ultimi decenni: per fare la fortuna di una autovettura non basta un prezzo conveniente, l’automobile è un investimento importante e nella sua scelta si esprime anche la personalità dell’acquirente.

Per rendere una vettura appropriata per molti e fare la fortuna di una azienda automobilistica occorre il genio del progettista: i successi Fiat degli anni 80 sono dovuti al successo della Fiat Uno, progettata da Vittorio Ghidella, l’ingegnere che nella sua gestione del settore auto ha inventato il modo di assemblare più modelli utilizzando componenti comuni ben sperimentati.

Ghidella è stato per la Fiat un manager d’oro, che credeva nel futuro del settore e già negli anni 80 voleva collaborare con la Ford: la sua era però tramontava con l’avvento della scelta della diversificazione finanziaria di Romiti e dalla successiva scelta commerciale di Marchionne che invece di puntare sulla ricerca, ha preferito fondersi con la Chrysler per ottenere spazi nel mercato americano.

Il Centro Ricerche Fiat, ricco di brevetti del settore e fiore all’occhiello della società, veniva così penalizzato, inducendo vari tecnici di valore a cercare una loro strada in iniziative autonome, laddove si era più pronti a finanziare la innovazione.

Questo esodo potrebbe essere un vantaggio per lo sviluppo tecnologico italiano: in piccolo ricorda quello negli anni 70 negli Stati Uniti, quando, terminata la corsa alla luna, la NASA lasciò senza lavoro migliaia di specialisti. Questi si misero in proprio inventando lo sviluppo tecnologico del Texas: oggi in quello stato operano 400 centri di ricerca nelle più varie discipline, che danno lavoro a quasi mezzo milione di specialisti, ciascuno dei quali porta a casa uno stipendio superiore agli 80.000 dollari all’anno.

 

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