La fuga più alta di Alfredo Martini

Il mondo del ciclismo rende onore ad uno dei suoi più apprezzati e storici esponenti: il commissario tecnico della nazionale su due ruote che aveva fatto dello sport «non un mestiere, ma un rigoroso comportamento di vita». Nella tarda serata del 25 agosto, si è lanciato nella sua ultima salita in solitaria
Alfredo Martini

Nato a Firenze il 18 Febbraio nel 1921, ciclista e dirigente sportivo italiano, già commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo su strada, Martini condusse la carriera da professionista (prima come indipendente) dal 1940 al 1957. Divenuto direttore sportivo della Ferretti e della Sammontana dal 1969 al 1974, ricoprì il ruolo di commissario tecnico della nazionale per oltre un ventennio, dal 1975 al 1997. In tale veste, condusse a conquistare la maglia iridata Francesco Moser nel 1977 a San Cristobal (Venezuela), Giuseppe Saronni nel 1982 a Goodwood (Gran Bretagna), Moreno Argentin nel 1986 a Colorado Springs (Stati Uniti), Maurizio Fondriest nel 1988 a Renaix (Belgio), Gianni Bugno nel 1991 a Stoccarda (Germania) e nel 1992 a Benidorm (Spagna). Meno noti probabilmente gli inizi da corridore, quando vinse il Giro dell'Appennino nel 1947 (per questo stato insignito dell'Appennino d'Oro nel 1998), il Giro del Piemonte nel 1950, una tappa al Giro d'Italia del 1950 (concluso al terzo posto dietro Koblet e al mitico Bartali) e una tappa al Giro di Svizzera del 1951 (concluso al terzo posto dietro Kubler e lo stesso Koblet).

Fra i successi da direttore sportivo spicca invece la vittoria al Giro d'Italia con lo svedese Pettersson nel 1971. Con una simile carriera, dal 1998 aveva ricevuto l’incarico di fungere da supervisore di tutte le squadre nazionali di ciclismo, nonché di Presidente onorario della Federazione Ciclistica Italiana: passi di una splendida corsa durata una vita nel mondo delle due ruote, raccontata nel libro "Alfredo Martini, memorie di un grande saggio del ciclismo" di Franco Calamai, edito nel febbraio 2008.

«Alfredo è l’essenza del ciclismo, l’incarnazione di quei valori educativi, umani e morali che ha saputo trasmettere con eccezionale lucidità ai giovani. Nessun omaggio può compensare i doni che ha dato e continua a dare al ciclismo e allo sport intero con il suo esempio e la sua saggezza» aveva affermato in occasione dei 93 anni il presidente della FIP, Di Rocco, che ha voluto scrivere il commosso messaggio di condoglianze pubblicato a nome della federazione: “fino all'ultimo respiro ha continuato a seguire il ciclismo, che ha sempre inteso, praticato e insegnato come una vera e propria scuola di vita. Ogni sua parola faceva breccia nel cuore dei giovani e incuteva rispetto e fiducia nell'impegno sportivo. Ha gioito per la vittoria di Nibali al Tour, accolta come il segnale di una nuova rinascita del ciclismo italiano”.

Un maestro esemplare per passione e umanità, Martini. «Lo sport non dovrebbe essere definito fine a se stesso ma essere un trampolino da cui lanciare messaggi umanitari per coinvolgere più volontariato e mezzi finanziari, sempre più necessari ed indispensabili per alleggerire i disagi dei più bisognosi», mi disse in un indimenticabile intervista nel febbraio 2009 pubblicata poi sul bimestrale della Caritas diocesana di Firenze.

«Dal nostro punto di vista non abbiamo mai considerato lo sport come un mestiere ma semmai un esercizio per migliorare il proprio stato psicofisico. Praticare una disciplina sportiva induce ad un comportamento di vita piuttosto rigoroso che difficilmente si disperde del tutto nel tempo. Naturalmente – esordiva nello stesso articolo – non si può tralasciare di prendere in considerazione che allacciato allo sport a livello dilettantistico esiste quello professionistico; […] un campione di sport che riesce a guadagnarsi molta popolarità è bene si renda conto degli obblighi che la simpatia comporta, con il rispetto che si deve ad un pubblico che generosamente applaude il suo gesto sportivo». Con Martini scompare l’ultimo grande testimone di un ciclismo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, il  Ct di un ciclismo divenuto scuola di vita per generazioni. Grazie mister.

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