La fraternità nel diritto italiano

In molte Carte costituzionali di stati democratici troviamo i princìpi di libertà e uguaglianza. Se si fa eccezione per la Francia, e pochi altri stati africani, non troviamo, invece, esplicitamente menzionato, il principio di fraternità. La presenza o l’assenza di un principio nei testi delle Costituzioni non è cosa da poco: se vi è menzionato, un principio diventa criterio di ispirazione, di orientamento e di valutazione per tutta la legislazione successiva. Questa estesa assenza del principio di fraternità è uno degli indicatori che attestano come la fraternità, pur accompagnando gli altri due principi nel comporre il “trittico” della Rivoluzione francese, non li abbia seguiti anche nell’evoluzione che li ha portati a diventare vere e proprie categorie politiche. Nonostante l’assenza formale, però, è possibile riscontare una presenza sostanziale della fraternità nella Costituzione italiana: è quanto sostiene Filippo Pizzolato, docente all’università di Milano-Bicocca, al quale abbiamo posto alcune domande. Dott. Pizzolato, perché nella nostra Costituzione non si parla direttamente di fraternità? “Il fatto è dovuto ad una esigenza di precisione metodologica: il concetto di fraternità non ha una sua tradizione nella Costituzione e nemmeno nei testi di legge ordinaria. Non compare esplicitamente e dunque non possiamo metterla a tema in maniera diretta; però possiamo ritrovarla attraverso l’interpretazione dei princìpi costituzionali, quindi al livello giuridico più alto”. In sostanza, pur non essendo, la fraternità, menzionata esplicitamente nella Costituzione, ne ritroviamo i contenuti sotto altre vesti? “Esattamente. La solidarietà, ad esempio, è l’architrave portante della Costituzione; ed è interpretata dai nostri costituenti non solo come impegnante il ruolo dello stato, ma anche come responsabilizzante i comportamenti sociali e individuali. Io ritengo che la fraternità sia una componente essenziale del concetto costituzionale di solidarietà”. Lei propone di distinguere due profili del concetto di solidarietà: uno verticale e uno orizzontale: quale interessa la fraternità? “Riprendendo una riflessione del prof. Galeotti, direi che la solidarietà verticale è quella che passa attraverso l’azione diretta dello stato, che interviene direttamente nei rapporti sociali, regolandoli e distribuendo le risorse, in modo da correggere alcuni egoismi sociali. La solidarietà orizzontale, invece, non riguarda lo stato, ma i comportamenti degli individui e delle forme sociali intermedie fra il cittadino e lo stato: famiglie, aziende, sindacati, camere di commercio, e anche i comuni, in quanto comunità dei cittadini. Lo stato, in questo contesto, non è più tanto il “padre” che, per inverare il principio di solidarietà, pianifica dall’alto i rapporti sociali e ne diviene in continuazione soggetto attivo, ma diviene lo strumento ed il garante, essenzialmente attraverso un’attività di regolazione e vigilanza, dell’assunzione da parte delle manifestazioni di libertà e di autonomia di un orizzonte solidaristico, in cui cioè la libertà individuale assuma la responsabilità del fratello, con cui si conosce interdipendente. È l’interpretazione che si ricava dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente” . Mettersi dal punto di vista della fraternità permette, dunque, di cogliere l’autentico senso dello stato, secondo lo spirito della Costituzione? “Sì. In effetti i costituenti hanno rifiutato, con la stessa intensità, due modelli possibili: quello autoritario, che rende l’individuo uno strumento dello stato e della razza; e quello individualistico, sul quale si fonda la modernità e nel quale l’individuo crea la propria identità a prescindere dall’appartenenza sociale. I nostri costituenti scelgono un altro modello: quello personalista, la cui radice però, se si scava nel concetto, è la fraternità”. Mettere allo scoperto la rilevanza costituzionale della fraternità, non produce anche degli effetti sull’interpretazione degli altri princìpi? Per esempio, quale tipo di libertà discende da questi contenuti “fraterni” della Costituzione? “Nella visione personalistica ogni uomo sviluppa la propria personalità solo se è accolto da una serie di comunità che si prendono cura della sua strutturale debolezza. Ma allora, la dignità e la libertà dell’uomo – che appartengono certamente alla sua natura – non possiamo darle per scontate, ma sono delle conquiste sociali, che si ottengono attraverso rapporti di prossimità, cioè di solidarietà orizzontale, di fraternità. Di conseguenza, la libertà individuale riconosce di essere un dono, di avere un debito permanente nei confronti di qualcuno che l’ha preceduta e le ha permesso di costituirsi e realizzarsi. Per questo parlo di “libertà comunitaria”, cioè di una libertà che non è mai separazione dagli altri. “Al contrario, l’antropologia illuminista parte dall’idea che i diritti siano originari, nel senso che sussistono nella natura individuale, pre-sociale;sono convinto anch’io che i diritti dell’uomo sono diritti naturali, ma la natura umana è sociale. Per gli illuministi lo stato di natura precede la socialità: si diventa sociali solo dopo, attraverso il contratto che crea la società civile e politica; mentre per gli aristotelico-tomisti l’associazione civile fra gli uomini costituisce una perfezione del loro essere, che è già, per natura, sociale e politico, e dunque si perfeziona nel rapporto con gli altri”. Lei sostiene che questa è l’impostazione della nostra Costituzione, e che essa si esprime il principio di fraternità? “A mio avviso sì. L’art. 2 Cost. afferma lo svolgimento sociale (nelle formazioni sociali) della personalità umana e l’art. 3, comma 2, precisa che quei rapporti sociali debbono essere improntati ad una logica di promozione umana e di partecipazione e non di sopraffazione egoistica ed impegna la comunità, nel suo profilo sociale ed istituzionale (la “Repubblica”) a realizzarli. Dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 Cost. si ricava allora che il fine sociale (il bene comune) è inseparabile da una sua realizzazione attraverso la sussidiarietà, attraverso cioè una via che salvaguardi la libertà aprendola però al destino del fratello. “La vera libertà, quella alla quale fa riferimento la Costituzione, è fraterna perché solo la fraternità ci permette di salvaguardare la libertà del singolo e il riconoscimento del dono ricevuto, la parità e la preferenza nei confronti del debole, il diritto e il dovere. La fraternità è il termine con cui, sinteticamente, possiamo esprimere la relazione fra i diritti e i doveri, fra la libertà e la responsabilità “. “Nei lavori dell’Assemblea Costituente si insiste continuamente sulla “finalizzazione dei diritti”; questa idea viene spesso letta, secondo me erroneamente, come una visione statalista dei diritti: in realtà, si vuole affermare l’idea che i diritti non servono solo ad un utile individuale, ma sono una maniera per costruire la società, perché nel bene comune – cioè nel fine sociale, non in quello individuale – sta l’autentica garanzia della libertà anche individuale. La fraternità esprime, meglio di ogni altro concetto, l’idea di una solidarietà che non si aggiunge successivamente e dall’esterno alla libertà, ma ne è una dimensione orientante e costitutiva. La fraternità modula l’espansione dei diritti, garantendo che essa avvenga sempre in coerenza con il bene comune, cioè custodendo la coesione sociale. È un principio, questo, che appartiene sia alla Costituzione che ai Trattati comunitari europei: l’idea che la crescita economica debba preservare il tessuto sociale omogeneo e coeso”. Anche se il principio di fraternità non è esplicitamente enunciato nella Costituzione, lei sostiene che ha un’importanza regolativa e interpretativa: può spiegare questa interpretazione? ” I diritti e i doveri di una persona si intrecciano continuamente con quelli delle altre; tanto che il conflitto fra i diritti non è una patologia, ma la condizione normale: i diritti si danno solo nel rapporto sociale. Ecco allora l’importanza di un “bilanciamento” tra i diritti che la legge deve operare; questo bilanciamento è una delle attività fondamentali di attuazione del dettato costituzionale; ed è proprio qui che la fraternità può fecondare l’ordinamento giuridico e la sua attuazione. “Nell’ottica liberale, davanti al conflitto fra due diritti, la via di uscita consiste nel trovare un punto mediano, che sacrifichi allo stesso modo entrambi. Dal punto di vista fraterno-personalistico, invece, si individua un diritto da privilegiare: quello del debole; e non per motivi ideologici, ma perché la debolezza è la condizione strutturale dell’uomo stesso, quella che più profondamente motiva l’esistenza dell’ordinamento giuridico. In questa scelta c’è anche un reale motivo politico: è logico politicamente privilegiare il debole, perché è colui che dà la misura della realizzazione del bene comune”.

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