Rinnovarsi, cambiare. Trovare nuove strategie di relazione all’interno e all’esterno del Movimento. Cercare una strada che ci porti fuori dall’angolo di una crisi strutturale: poche nuove vocazioni al focolare, difficoltà a riprendersi dopo lo shock della notizia degli abusi sessuali e di potere, difficoltà economiche nel gestire strutture, centri e cittadelle sottoutilizzate in giro per il mondo.
Naturalmente ognuno può mettersi a tavolino sforzandosi di individuare le possibili soluzioni. Ad esempio, un ritorno al passato degli anni della fondazione, in cui le intuizioni della Lubich plasmavano i cuori dei suoi collaboratori ed erano il motore di ogni nuovo sviluppo, oppure rituffarsi in una vita spirituale profonda, più concentrata sulla spiritualità essenziale di Chiara, o ancora aprirsi verso nuove collaborazioni con altri movimenti e associazioni, e così via.
Ognuno può cercare le possibili soluzioni. Ma c’è il rischio che rimanga un esercizio sulla carta. Come diceva mio nonno, è inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. E allora che fare?
La vera ricchezza del Movimento dei Focolari sono le persone, le loro storie. Ne ho conosciute a centinaia nel corso della mia vita, ad ogni latitudine. Persone, le più diverse per status sociale e culturale, appartenenti a tutte le religioni, e anche senza un credo religioso.
Personalmente ripartirei semplicemente dai loro racconti, dalle loro storie. Nella mia vita professionale di regista, questa è sempre stata una sorta di ossessione: raccontare storie. Di singoli personaggi, di gruppi, di comunità, non importa. Perché nel raccontare storie si riparte sempre e soltanto dalla vita. E la vita non è contestabile a priori per posizione presa, bisogna accettare che le cose siano andate in quel determinato modo, che siano realmente accadute.
Naturalmente è fondamentale come si racconta, con rigore storico, senza autoreferenzialità, senza protagonismi e con la coscienza di essere una voce in mezzo a molte altre, di avere tanti “colleghi” che fanno le cose che noi facciamo, a volte anche meglio.
Ma la nostra goccia, il nostro contributo è essenziale. E per fare questo bisogna aprirsi. Utilizzare ogni mezzo per raccontare la vita con onestà, trasparenza e completezza anche nelle parti a volte meno gratificanti o più problematiche. Rifuggendo l’agiografia e la retorica pedante delle buone notizie.
Quindi ripartire, certamente, ma ripartire dalla vita del Vangelo. D’altra parte non era questa una definizione del Movimento tanto cara a Chiara Lubich, cioè quella di un “popolo nato dal Vangelo”?
Bisognerebbe dare a questo sforzo comunicativo sostanza e concretezza. E soprattutto bisognerebbe frequentare anche mediaticamente i luoghi che la gente frequenta. Una volta, direi ai miei tempi, era la televisione il medium per eccellenza, ora se ne sono aggiunti altri, ma la forza del racconto rimane la stessa. Bisogna investire energie e risorse sia economiche che umane in questa direzione. L’alternativa? Penso, ahimè, che il destino dietro l’angolo sia quello dell’irrilevanza.