La fine misteriosa di Raoul Wallenberg, Giusto tra le nazioni

Raoul Wallenberg salvò migliaia di ebrei grazie al "Passaporto di Protezione" che garantiva la tutela della Svezia. Fu dichairato Giusto tra le nazioni, ma la sua fine ancora non è chiara.

A Budapest ci sono monumenti dedicati a lui, ce ne sono a Londra, a Tel Aviv, a Buenos Aires, ci si può fermare di fronte alla targa che lo ricorda allo Yad Vashem, il monumento alla Shoah, che si trova a Gerusalemme. Ricorda lui, Raul Wallenberg. Per molti uno sconosciuto. Come sconosciute al grande pubblico sono tante persone che fanno il bene.

Raoul Wallenberg, foto Wikimedia Commons

Ma il caso di Wallenberg è particolare. Egli rientra in quella categoria di persone che, per aver compiuto il bene, hanno pagato un conto salato, spesso con la propria vita. Ma anche in questa categoria di persone il caso di Wallenberg è particolare. Perché la sua fine è avvolta nel mistero.

Wallenberg, cittadino svedese, si trovava in Ungheria al tempo dell’invasione nazista e ha aiutato una grande numero di ebrei a salvarsi. Poi, quando le truppe sovietiche hanno liberato il Paese lo hanno arrestato. Perché? Non si sa. Perché i russi hanno imprigionato uno che tanto aveva fatto contro i nazisti? E perché le autorità svedesi di allora non si son date da fare per ottenere la liberazione di Wallenberg? Forse perché era uno sconosciuto. Con il tempo viene data una risposta, vaga, ambigua. Wallenberg è stato stroncato da un infarto nel 1947, mentre era detenuto nel carcere della Lubjanka, a Mosca, sede della famigerata polizia segreta staliniana.

Ma perché era finito lì? Poi un’altra versione: sempre alla Lubjanka, nel 1947 è stato fucilato. Ancora più incomprensibile. Simon Wiesenthal, il celebre cacciatore di nazisti, avanza un’altra narrazione: secondo lui ci sono prove della sua esistenza in URSS dopo il ’47, detenuto in un ospedale psichiatrico e poi morto in seguito a uno sciopero della fame. Il mistero della sua scomparsa si fa sempre più fitto. Nel 1989 l’URSS ammette che l’arresto di Wallenberg è stato un «tragico errore». Tutto per un errore, dunque? Forse non lo sapremo mai. Ma quello che sappiamo è cosa egli ha fatto prima del fatidico giorno dell’arresto. Per quelle sue azioni “buone” lo Yad Vashem nel 1963 lo ha riconosciuto come Giusto fra le Nazioni; il Congresso degli USA nel 2012 gli ha conferito la Medaglia d’oro «in riconoscimento dei suoi successi e delle azioni eroiche durante l’Olocausto».

Raoul Wallenberg veniva da un’importante famiglia di banchieri svedesi. Era un giovane brillante, ricco, poliglotta, colto. Ma la sua spiccata sensibilità lo portava a rendersi conto che la sua era una posizione privilegiata. Decise quindi di “sporcarsi le mani” e dare una mano a quelli che non erano privilegiati come lui. Si è nel ’44, in piena Seconda Guerra Mondiale. La Svezia è un paese neutrale.

Quell’anno gli Alleati creano l’Ente per i Rifugiati di Guerra (il WRB, War Refugee Board) e la Svezia si assume l’impegno di collaborare al WRB focalizzando l’impegno in Ungheria. Wallenberg si fa avanti e si propone di far parte dell’impresa: viene così accreditato dal suo Paese come diplomatico presso Budapest, Primo Segretario della Legazione Svedese. Lì la persecuzione sistematica degli ebrei sta appena iniziando. Capisce che ha poco tempo per agire e si butta anima e corpo nell’impresa.

Facendo uso dei fondi del WRB si inventa un “Passaporto di Protezione “, i possessori dei quali saranno accolti dalla Svezia una volta ottenuti i visti necessari. In attesa dei visti, i titolari del Passaporto sono posti sotto la protezione delle autorità svedesi e quindi al riparo dalle deportazioni. Le SS sono furibonde, ma hanno ordini di non creare incidenti diplomatici con la Svezia.

Raoul Wallenberg non si ferma lì. Organizza delle “case svedesi” che raccolgono e proteggono più di 33.000 ebrei. Alcuni li va a prendere anche nelle stazioni dove partono i famigerati convogli senza ritorno, alle volte ha un fucile puntato alla schiena, ma non indietreggia, sa che non possono toccarlo, e così si adopera per far scendere dai vagoni più ebrei che può. Verso la fine della guerra riesce a sventare un piano dei nazisti per far esplodere due ghetti in Ungheria. Si dice che abbia così salvato 100.000 persone. Poi la liberazione, l’arrivo dei sovietici, la fine della guerra, il termine dell’orrore. Per lui l’inizio di un calvario. Confinato nel mistero. Ma si può pensare che i pensieri e le preghiere di tutti quelli che ha salvato abbiano alleviato il suo cuore.

 

 

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