La fine della psicoterapia

Ci sono multipli fattori che possono indurre una persona ad intraprendere un percorso psicoterapeutico: insoddisfazione, sofferenza, malessere continuato… Ma dopo l’accompagnamento di un professionista, cosa ti porti via?
Foto Pexels

«Qualche giorno fa, ho trovato un breve testo di un pensatore che mi ha colpito. Diceva che bisogna arrivare fino alle ultime note di una melodia per poter cogliere tutta la sua bellezza». Così, scrive una persona al termine del suo percorso di psicoterapia. Quando una persona decide di intraprendere questa strada, vuole che qualcosa cambi o la sofferenza si è fatta così spazio che non riesce più a fare alcune cose importanti come lavorare, vivere delle relazioni soddisfacenti, o ancora, alcuni sintomi sono diventati particolarmente fastidiosi da compromettere la qualità della vita. Ed è in questo momento che ci sono mille perplessità, nonostante l’efficacia della psicoterapia sia ormai scientificamente riconosciuta, lo scetticismo iniziale è comune a molti.

E poi… si arriva alla chiusura del percorso, una conclusione alle volte anche difficile perché si è creato uno spazio piacevole e una relazione forte. Arriva, bisogna separarsi e alla vigilia di questo ultimo passo ho chiesto a Lei: Cosa ti porti via? Cosa è stato per te? Consapevolizzare aiuta a capitalizzare le conquiste fatte! «Sì, siamo alle ultime note di questo percorso insieme… Se dovessi riassumere in poche parole questo percorso direi: crescita, libertà, pienezza. Ho notato che ora riesco ad affrontare con più calma e lucidità certe situazioni che prima mi bloccavano. Non mi toccano come prima. Riesco a capire cosa c’è in quella “stanza”, come muovermi, come tentare di sbrogliare la matassa. Una delle esperienze più importanti che ho fatto è stata quella di abitare dentro di me. Comprendere cosa sperimento, come mi sento. Avere una consapevolezza profonda e nuova che mi permette di discernere».

Consapevolizzare vuol dire ascoltarsi, percepire le proprie emozioni e i propri pensieri e farci qualcosa. Vuol dire conoscersi nelle proprie caratteristiche peculiari, nella propria storia di vita, nella propria identità. Lei, continua la sua lettera: «Ho incontrato la mia bambina (la bambina che sono stata), che mi aiuta a capire cosa sento, e ho ritrovato il mio “io adulto”, che mi permette di governare me stessa e anche le situazioni in cui mi trovo. Un fatto negativo, una situazione complicata, il torto che mi può fare l’altro, quello che mi urta o mi ferisce, lo sbaglio o la fragilità… Insomma, quella prima impressione, non è il tutto di quella persona o situazione. È stato come guardare un quadro da più lontano, integrando i particolari che completano quella realtà e che, qualche volta, la cambiano. Un giorno mi hai detto che la luce contiene il buio. Posso dire che il buio non mi fa più paura!».

Mi emoziona sempre quando osservo questo gesto di grande tenerezza, accogliere le proprie paure e le proprie fragilità, un atto di auto-compassione rigenerante, cura per le ferite. Un altro aspetto rinforzato è stato quello dei confini psicologici, scrive: «E poi, ho scoperto una cosa bellissima: i miei confini. Mi proteggono e mi permettono di incontrare gli altri. Non sono muri, è piuttosto una distanza di sicurezza che mi rende libera di amare. E poi… posso chiedere aiuto, posso dire che sono stanca o cosa voglio fare».

Durante il percorso qualcosa che tornava spesso era la paura di sbagliare… proviene dalle esperienze fatte durante l’infanzia, da eventi traumatici o contesti educativi rigidi e poco accoglienti, mi dice: «Un’altra tappa importante è stata capire le ragioni del mio perfezionismo, la mia poca tolleranza allo sbaglio. Ho sperimentato che quelli sbagli degli altri che prima mi avevano tanto ferita, ora mi arrivavano come una cosa positiva, che mi faceva bene. Posso imparare da questo, anch’io posso sbagliare! Posso essere me stessa, mostrarmi per come sono. È stata una esperienza liberatoria». Posso essere me stessa! Quale vittoria più grande?

Conclude la sua riflessione scrivendo: «Dopo questo percorso mi sento come dall’altro lato del fiume… Non dico di essere già arrivata, ma quanta strada abbiamo fatto! La mia “scatola degli attrezzi” ora è piena. C’è più assertività, calma, riflessione, autocontrollo… C’è anche un oggetto che mi ricorda che valgo tantissimo e che sono degna di fiducia. Mi sento proprio così: “armata”, rinvigorita. Ho scoperto che posso guardarmi con gli occhi degli altri senza insuperbirmi. Questo vedevano e io all’inizio non ci credevo. Mi sentivo piuttosto rigida tante volte… Ma ho capito che quella rigidità posso riempirla con più amore per chi mi sta vicino. E così diventa la mia forza, è ciò che mi dà solidità».

Lei ha deciso di scegliere, di prendere in mano la propria vita e non andare col vento… «Sì, ho preso l’iniziativa per capire quale sarebbe stato il mio futuro, il mio prossimo porto. Ho potuto dire liberamente quanto pensavo e quanto desideravo. Sto facendo le valigie…».

Ho voluto condividere questa esperienza per dare speranza e coraggio a chi sta affrontando un momento difficile e per tanti fattori culturali non chiede supporto. Si può rinascere tante e tante volte! Grazie Lei, per avermelo ricordato ancora una volta, buon viaggio!

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