La figlia in convento

“Il primo dicembre scorso, dopo due anni di lavoro successivi alla laurea, la terza dei nostri quattro figli (28 anni), si è licenziata e ci ha lasciato per entrare nell’Eremo Carmelitano. Nelle notti insonni, con la testa ringrazio Dio d’averla chiamata e protetta (se penso alle disgrazie che possono succedere ai figli); ma il cuore sanguina sempre per il distacco. Ma è possibile, con tutto quello che si può fare a questo mondo, rinchiudersi tra quattro mura a vivere di carità, e farcela vedere due volte l’anno? Se le regole delle prime monache erano così, ora la situazione è diversa. Scusate lo sfogo”. P. B. – Massa Carrara Grazie per la sua lunga e commovente lettera. Chi ha figli la comprende benissimo. Personalmente io rifletto spesso sulle parole di Gibran: “I figli potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri… Voi siete gli archi da cui loro, le vostre frecce vive, sono scoccate lontano”. A volte non siamo capaci di “perdere” i nostri figlioli; a volte, invece di “occuparci” di loro, ce ne “preoccupiamo”, facendo loro pesare le nostre ansie e frustrazioni, in luogo della serenità dell’amore disinteressato che li fa crescere. Anche se non è una equazione matematica, sembra che i vostri figli in questa realtà siano davvero cresciuti, se si sono aperti all’impegno verso gli altri e nelle varie associazioni, se la terza di essi ha sentito sbocciare in cuore una vocazione così radicale. Rispondere sì a una chiamata del genere è un gesto talmente puro e totalitario, che può strappare nel soprannaturale per sempre, non solo la figlia che lo dice, ma l’intera famiglia, chiamata in certo modo a rapportarsi ogni giorno con questo Amore invadente che ha fatto irruzione in casa e lascia un posto vuoto a tavola. Non è giusto dire che essa è andata a rinchiudersi tra quattro mura. Non sono le grate e le pareti che rendono una vita ripiegata nell’egoismo. È quasi sempre vero il contrario. Ognuno di noi, credo, può testimoniare che raramente si incontrano persone trasparenti e dal cuore grande quanto quelle che hanno fatto di Dio e dell’amore al prossimo l’ideale della loro vita. Quelle contemplative sono vocazioni fuori moda? Direi proprio di no. Non si tratta di “mode”, ma di risposte alle sofferenze ed ai bisogni dell’umanità. Forse il bisogno più acuto di oggi, quello da cui discendono tutte le altre tragedie, è proprio quello del soprannaturale. Certo, il distacco fa male. È come una spada piantata per sempre nel cuore. Ma fa parte del nostro essere genitori. Anche così continuiamo a generarli.

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