La festa di Siena

Si deve dar atto, fra gli altri, al direttore artistico Aldo Bennici se anche quest’anno Siena ha offerto delle occasioni musicali uniche. C’era gioia nell’ascoltare e nel fare musica. Lo si provava ascoltando – e vedendo – l’operina di Haydn, Filemone e Bauci, data nel teatro del principe Esterhàzy, presente l’imperatrice Maria Teresa, il 2 settembre 1773. La favola di Ovidio, dei due anziani sposi che accolgono Mercurio e Zeus travestiti da pellegrini e in cambio della loro devozione ottengono la resurrezione del figlio e della sua amata, ha il sapore della bella metafora illuministica: la fiducia nel benvolere divino, nonostante il dolore, non può che portare gioia. Un messaggio, in fondo, attuale. Haydn crea brani orchestrali, arie, duetti, interventi d’assieme di suprema eleganza: la fantasia viene disciplinata dallo spartirsi di interventi dell’orchestra e dei solisti, frammezzati dai recitativi parlati, con invenzioni melodiche suadenti, tocchi coloristi unici (nel consueto temporale), arpeggi dolci degli archi: una partitura ricca di finezze, di invenzioni timbriche, un gioiello che tutti dovrebbero conoscere, per assaporare la capacità di Haydn operista di dire cose grandi con divina semplicità. Certo, il morbido complesso dell’Europa Galante (stupendo per chiarezza l’oboe) diretto con passione da Fabio Biondi, la regia del teatro marionettistico di Eugenio Colla – capace di far vivere la favola in un microcosmo tanto perfetto da risultare vero – e l’affiatato quartetto di solisti (Gemma Bertagnolli, Carlo Alemanno, Marivi Blasco, Magnus Staveland) hanno contribuito a far scoprire un capolavoro che, si spera, dovrebbe girare per tutta Italia, a incantare piccoli e grandi. Chiusura, infine, alla grande della Settimana con Teresa Salgueiro e il Lusitana Ensemble in un concerto incentrato sul fado, danza e canto popolare, ma di grande nobiltà, com’è dell’estro portoghese. Malinconia, abbandono, languore, nostalgia, entusiasmo – mai però esagitati – di un repertorio che dall’epoca sufardita trapassa a Lucio Dalla o Piazzolla, sono sentimenti che la voce aristocratica di Teresa e il suono avvolgente del complesso (percussioni, in particolare) hanno fatto vibrare, facendo scoprire l’anima atlantica del Portogallo. Vasta, solenne, forte: capace di placare ogni passione. LUCIA A CARACALLA La stagione estiva dell’Opera di Roma non presentava solo Aida o Butterfly. Ha rischiato su un’opera raffinata, non spettacolare, Lucia di Lammermoor. Donizetti, è noto, ne ha fatto il prototipo della follia d’amore al femminile, piegando voce e orchestra ad esprimere, melodiosamente, i turbamenti più intimi. Ci vuole perciò una grande interprete. Il soprano francese Annick Massi lo è stata, attrice e cantante di classe, struggente al punto giusto, regalando commozione sincera, insieme al promettente tenore Stefano Secco. Peccato che regia e allestimento fossero modesti e che Antonello Allemandi abbia avuto poche prove per far cantare meglio l’orchestra (sempre buoni però i legni), in un’opera dove le sfumature sono essenziali, perché si parla di vita e di morte.

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