La festa delle luci

In occasione del Diwali, persone di tutte le religioni fanno gli auguri agli indù, compreso papa Benedetto XVI, che ha affidato il suo messaggio di stima e affetto al cardinale Tauran
Diwali

Diwali o Dipawali, la Festa delle luci, è il momento più significativo del pur ricchissimo calendario delle festività indù, che colora l’India e i suoi abitanti in diversi momenti dell’anno. Diwali è l’occasione che unisce in particolare le religioni del cosiddetto sanatana dharma, quelle che hanno avuto origine nella valle dell’Indo e che si fondano sugli antichi testi dei Veda e delle Upanishad. Ma anche i sikh condividono questo momento, che significa la vittoria del bene sul male e della luce sulle tenebre.
 
Tutta l’India si accende in questi giorni di luci, sui balconi, fuori le case, ma anche negli uffici e nei palazzi dell’amministrazione. Sono giorni di festa che coinvolgono l’intero sub-continente indiano. Lo scambio degli auguri e di luce è d’obbligo, a prescindere dalla religione cui si appartiene. Per questo anche i cristiani si rivolgono con felicitazioni e regali ai propri colleghi e vicini di casa di tradizione indù.
 
Anche quest’anno il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha inviato ai settecento milioni di indù, in India e in altri angoli del pianeta, un messaggio che vorrebbe portare l’affetto e la stima di Benedetto XVI e di tutti i cattolici del mondo. Per il 2012 l’augurio si incentra sulla pace, un valore condiviso e particolarmente vicino alla tradizione plurimillenaria dell’induismo.
 
«In questo tornante della storia umana – esordisce il messaggio – in cui varie forze negative, in molte regioni del mondo, minacciano le legittime aspirazioni a una pacifica coesistenza, vorremmo avvalerci di questa preziosa tradizione per condividere con voi la riflessione sulla responsabilità di indù, cristiani e altri nel fare tutto il possibile per formare le persone, specialmente le giovani generazioni, ad essere operatori di pace. La pace non è la semplice assenza di guerra, non è un patto o un trattato che assicuri una vita tranquilla; piuttosto è essere completi e intatti, un recupero dell’armonia e un frutto della carità».

Il messaggio, firmato dal card. Tauran che dirige il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, si rivolge in modo particolare agli educatori, coinvolgendo  genitori, insegnanti, anziani, senza dimenticare capi politici e religiosi, operatori di pace e coloro che sono impegnati nel mondo delle comunicazioni. In poche parole, quella fetta di mondo che, non solo dovrebbe avere a cuore la pace dell’umanità, ma che è chiamata a educare le giovani generazioni.

Si tratta – continua il messaggio – di formare i giovani a essere operatori e costruttori di pace, un appello pressante a un impegno collettivo e a un’azione comune. «È necessario che ad ogni giovane si insegni soprattutto ad agire sinceramente e rettamente nell’amore e nella libertà. Inoltre, in ogni educazione alla pace, le differenze culturali si dovrebbero certamente considerare come una ricchezza, e non una minaccia o un pericolo».
Gli auguri si rivolgono in modo particolarmente accorato alla famiglia, come prima scuola di pace, dove i genitori sono i principali educatori, soprattutto grazie al loro esempio che può incoraggiare la fiducia reciproca, il rispetto, la comprensione, l’ascolto, la condivisione, l’altruismo e il perdono. Ma anche gli operatori scolastici e i professori sono chiamati a dare un contributo insostituibile.

È significativo che quest’anno il messaggio si incentri sulla pace, un valore, soprattutto nell’accezione della ahimsa, la nonviolenza, particolarmente caro al Mahatma Gandhi, che ha ispirato molti leader del mondo del secolo scorso e del primo decennio del nuovo millennio: Martin Luther King, per esempio, ma anche Mandela e il vescovo sudafricano Tutu.
L’India con la sua ricchezza religiosa e culturale millenaria, e la celebrazione del Diwali possono essere un’occasione per riflettere e continuare l’impegno per la pace.
 

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