La fantasia primitiva

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Un artista è un eterno bambino, o comunque qualcuno che sa mantenerne la presenza oltre lo scoccare del dolore e lo scadere del tempo? Domanda inquietante, perché è così difficile conservare l’infanzia dello spirito, l’innocenza di un tempo che sembra irrecuperabile. Eppure, Paul Klee, in sessantuno anni di vita – muore nel 1940 – ci è riuscito. Così, la sua arte rimane per noi una sorpresa continua. Un gioco, ma serio. All’artista svizzero, nulla sfugge, niente è materia impossibile al disegno, al colore, allo spazio: alla creazione artistica. Osserviamo i Frutti sospesi, del 1921, un piccolo acquerello di rombi e cerchi, una cascata dai toni caldi come da un albero altissimo visto da un infinitamente piccolo. A Klee piace scherzare con il colore, accostarne le modulazioni pure, creare un arcobaleno di rapporti addirittura con olio su carta e cartone. Ne risulta l’Armonia di colori astratta in quadrati con accenti rosso-zafferano (1924): ogni tono è la spia di un sentimento; l’insieme, un microuniverso di emozioni e pensieri, di vite collegate ad altre vite. Paul infatti, possiede lo spirito di un bambino, ma l’acutezza di un uomo maturo: nulla è banale, casuale in ciò che riflette e poi dipinge. Sa essere lievemente umorista – l’Osservazione sulla prima colazione con la gallina che ha appena fatto l’uovo da mangiare! – finemente ironico – In memoria di una cappella di donne, in cui gioca con le espressioni trasognate dei volti -; scanzonato, come in Barbaro-classico- festivo, una sfilata gioiosa di stili e richiami architettonici, e incantato. Se infatti ci si sofferma presso l’olio Bambini davanti alla città (1928) ec- co Paul rifare il verso, nel disegno, ai bambini, diventato uno di loro, e farceli vedere davanti alla città proprio come essi la percepiscono: fila di case e strade, rese con i colori fondamentali, rosso bianco nero. In primo piano, due sagome fanciullesche, che strappano il nostro sorriso. Ci sono poi momenti dove l’incanto diventa contemplazione. Dapprima totalmente luminosa: la Grotta (1929) con le fasce di bianco-gialloverde parallele evoca una sorta di incontro con una luce abbagliante che ancora ci invade; la Costa classica, dipinta in centinaia di punti colorati è l’esplosione di una natura tutta-luce, vista da un occhio pieno di meraviglia. In seguito, la contemplazione si fa diurna e poi, notturna. Ne Il tempo (1933) i pezzi di garza sovrapposti su una imprimitura in gesso dicono le fasi della vita che naviga dall’indistinto al chiaro, ma anche all’oscuro. Finché nelle tele dell’ultimo anno di vita – in piena guerra mondiale – le tinte si scuriscono, il blu e il nero diventano prevalenti, ma il disegno resta primitivo: l’anima del pittore non si è adattata al tempo di morte, anche se geme per questo buio dell’uomo, espresso in lavori come l’Immagine della città di Cnosso o Il bisogno di un tempo di carestia o Il tappeto. Si avverte un pianto, si direbbe inconsolabile per un assurdo che non si capisce. Chi mantiene un animo di bambino, non può assuefarsi al buio, reale e sentimentale. Perché è fatto per la luce. Paul Klee, l’artista del sentimento innocente, preferisce – con la morte – ritirarsi. A noi lascia il suo amore libero e liberante per la vita.

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