La “diaspora” dei cattolici democratici

Dopo la fine della Democrazia Cristiana che tipo di incidenza ha il percorso politico che ha guidato l’Italia nel secondo dopoguerra? Una prospettiva storica e una visione sul presente
Comizio Alcide De Gasperi ANSA/ ISTITUTO LUCE

Prima di approfondire la questione sulla incidenza odierna dei cattolici impegnati in politica, occorre partire da un percorso storico da riscoprire

La firma del Patto Gentiloni, in funzione antisocialista, nella tornata elettorale del 1913 per l’alleanza con i candidati liberali, segnò la prima deroga al Non expedit di Pio IX, che fino a quel momento aveva impedito la partecipazione diretta dei cattolici alla vita politica italiana.

L’appello ai “liberi e forti”, con il quale Sturzo nel gennaio 1919 diede vita al Partito popolare, prima formazione di ispirazione dichiaratamente cattolica, mise al centro del dibattito alcuni valori fondanti (democrazia, giustizia e legislazione sociale, lavoro, diritto internazionale basato su pace e diplomazia, libertà religiosa), che avevano nutrito la generazione della Rerum Novarum, mostrando nel cattolicesimo sociale una ragione di impegno a trecentosessanta gradi.

La Democrazia Cristiana

La nascita della Democrazia cristiana, avvenuta in forma progressiva a partire dal 1942-1943, con De Gasperi come leader indiscusso, resa possibile dalla confluenza tra i vecchi popolari che avevano militato nell’antifascismo e le nuove leve dell’associazionismo che era nato attorno all’impegno del giovane Montini (FUCI, Movimento Laureati, nella generazione dei Dossetti, Moro, La Pira, Fanfani, Andreotti), creò le condizioni favorevoli per una presenza stabile della cultura politica cattolica al centro del processo di ricostruzione dello stato e in dialogo con le altre nella scrittura del testo costituzionale.

In seguito la DC sarebbe rimasta il fulcro imprescindibile del progetto politico di un Paese che doveva essere “governato al centro”, con l’appoggio dei partiti laici (socialdemocratici, repubblicani, liberali), i quali potevano garantire un’esperienza nella quale non fosse necessario l’accordo con le forze estreme, tanto di destra che di sinistra.

La storia, nei suoi imprevedibili ed originali tornanti, ci ha consegnato stagioni di scontro aspro (le elezioni del 1948 e i primi anni Cinquanta, per esempio), ma anche stagioni di dialogo e collaborazione (gli anni Sessanta delle giunte di centro-sinistra nelle principali città o i governi di solidarietà nazionale prima del dramma Moro), in un arco temporale ampio nel quale l’Italia ha conosciuto un boom economico, l’ingresso stabile nel gruppo dei Paesi più industrializzati, ma anche varie crisi. La più grossa, quella che tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta ha portato al crollo della Prima Repubblica, aveva radici antiche: una difficoltà nel ricambio della classe dirigente, la mancanza di una vera alternanza nella gestione della responsabilità di governo, il crescere del clientelismo e della ‘relazioni patologiche’ tra economia e politica.

L’implosione del partito

La DC implose, travolta assieme ad altri partiti dalla stagione dei processi di “Mani Pulite”, generando quella diaspora dei cattolici in vari partiti, che rimane il dato normale anche nella situazione attuale del Paese.

Quali elementi dell’esperienza democratico-cristiana hanno rappresentato significative acquisizioni per la cultura politica italiana? a) la formazione di una classe dirigente capace di governare un drammatico periodo di transizione e di ricostruzione, nel desiderio, non sempre realizzato adeguatamente, di rafforzare il ceto medio e colmare il ritardo del Meridione; b) la credibilità di leader che hanno accompagnato l’affermarsi del Paese all’interno del blocco Atlantico, ma con la capacità di vedersi quali possibili protagonisti negli scenari internazionali strategici (realtà mediterranea e araba; progetto di unificazione europea, etc.); c) il contributo al miglioramento della pacificazione religiosa e sociale, attraverso il percorso fatto col Vaticano per la legittimazione di un profilo di laicità che dialogasse in modo fecondo con i valori religiosi, capace di creare reti di associazionismo e di volontariato che ancora oggi costituiscono un validissimo strumento di ammortizzazione nei periodi di crisi.

I punti deboli di una storia

Tra gli altri, due elementi di debolezza si sono palesati come gravidi di conseguenze: a) la mancanza di una vera alternanza di governo, anche a seguito del permanere di una pregiudiziale anti-comunista, che ha, di fatto, consentito il proliferare di un’incapacità di riconoscere la legittimità di una vocazione politica diversa dalla propria; b) l’insufficiente controllo dei potentati economici, del corretto rapporto tra pubblico e privato, che alla lunga ha creato un sistema di “malaffare”, con mancanza di organi responsabili atti a consolidare un solido regime di concorrenza, di affermazione del merito, di pluralismo nel modo di intendere la prassi democratica del mercato economico oltre che del sistema politico.

Un patrimonio da non perdere

La ‘diaspora dei cattolici’, al termine di una lunga stagione politica unificata dentro un partito, ha fatto venir meno alcune caratteristiche che dentro la DC hanno rappresentato un valore aggiunto, ma che dopo, in assenza di esperienze e valori unificanti, sembrano andate perdute.

La Democrazia cristiana era un partito dalle molte sensibilità e dalle diverse correnti, che coprivano quasi l’intero panorama di appartenenze da destra a sinistra: questo ha portato ad una dialettica interna che in molti passaggi costituiva un valore aggiunto, una capacità di ‘sopportare’ le differenze per tentare di comporle in un progetto politico, tutti elementi che oggi sembrano essersi smarriti.

Altra caratteristica di quella classe dirigente è stata la capacità di riconoscere e rispettare l’impegno politico e la vocazione al servizio presente negli altri partiti, anche quando antagonisti e in competizione per la guida del Paese. Negli anni della Costituente o della stagione terroristica e stragista si è assistito ad un dialogo politico che ha potuto accrescere il senso di responsabilità e una politica di servizio per la collettività, creando quel senso dello Stato che oggi appare sempre più raro.

Non un partito unico ma valori civili condivisi

Se appare antistorico alimentare aspirazioni di uniformismo dentro un partito unico, sarebbe tuttavia auspicabile ritrovare alcuni valori che potrebbero riconsegnare alla politica il compito di mostrare una visione e costruire un progetto: il rispetto dell’avversario, che non è nemico; la trasparenza di una proposta programmatica, sulla quale essere “controllati” dal corpo elettorale, altrimenti sempre più distante e sfiduciato; il coraggio di pronunciare l’espressione ‘bene comune’, che dovrebbe rappresentare il simbolo di un impegno politico al servizio di cittadini, i quali hanno in comune un’infinità di elementi e situazioni che li definiscono molto più delle differenze con cui si è invitati ogni giorno a misurare l’altro. La vera diaspora dei cattolici, allora, sembra essere la diaspora di quei valori basici che dovrebbero qualificare una candidatura o l’attività a servizio di un movimento e di un partito, che rischiano di consegnare anche la presente stagione politica al caos dell’antagonismo ideologico o all’egoismo dei “cacciatori di poltrone”.

 

 

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