La condanna dell’imam Al Asir

Il religioso sunnita, colpevole di una rivolta contro lo Stato, è stato punito con la pena capitale dal tribunale militare di Beirut. Il Paese dei cedri vuol restar fuori dalla guerra siriana…

Il 28 settembre scorso – secondo una notizia riportata anche dall’agenzia giornalistica italiana ANSAmed – il «leader fondamentalista libanese appartenente al clero sunnita, Ahmed al Asir, è stato condannato a morte dalla Corte militare di Beirut». Condannati alla pena capitale anche il fratello Amjad e altri sette seguaci dell’imam. L’ex cantante di origine palestinese, Fadel Shaker, che aveva aderito alla causa fondamentalista di Al Asir, è stato dallo stesso tribunale condannato in contumacia a 15 anni di reclusione. Ai condannati è in ogni caso consentito dalla legge il ricorso in appello.

L’accusa principale contestata ad al Asir e agli altri imputati è quella di aver fomentato nel giugno 2013, a Sidone, una rivolta contro lo Stato in cui persero la vita 18 militari libanesi, oltre a 4 miliziani sciiti di Hezbollah e 25 o 30 miliziani jihadisti, armati, fedeli a Al Asir. Dopo la “battaglia di Sidone” Ahmed al Asir riuscì a fuggire e si nascose per oltre 2 anni (probabilmente nel campo palestinese di Ayn al Hilwe, non lontano da Sidone), partecipando in questo periodo anche agli scontri di Tripoli dell’agosto 2014, che provocarono una cinquantina di morti. Ahmed al Asir venne arrestato all’aeroporto di Beirut il 15 agosto 2015 mentre cercava di imbarcarsi sotto falso nome su un volo diretto in Nigeria, con scalo in Egitto.

Una condanna pesante, anche se il Libano, pur ammettendo la pena di morte, di fatto non la applica da più di 13 anni. Una condanna che ha un forte significato: sottolineare la scelta del Libano di restare fuori ad ogni costo dal conflitto siriano, nonostante numerosi e sanguinosi tentativi di coinvolgere il Paese dei Cedri nello scontro mortale fra i due blocchi, sunnita e sciita, che in Siria si contendono da oltre 6 anni il controllo del Paese.

Ad un osservatore esterno potrebbe infatti sembrare che il Libano sia estraneo alla guerra siriana. Non è stato e non è così. I cosiddetti “ribelli”, soprattutto l’ala jihadista di Jabath Fatah al Sham (ex Al Nusra) e i gruppi facenti capo direttamente al Daesh, lo Stato Islamico, avrebbero voluto un allargamento al Libano del conflitto che insanguina la vicina Siria dal 2011, con il coinvolgimento di altri Paesi, comprese grandi potenze come Usa e Russia, ma anche Turchia e, più o meno direttamente, Iran, Arabia Saudita e alcuni Emirati del Golfo. Di fatto, dal 2011 ad oggi ci sono stati solo in Libano almeno 650 morti e quasi 2500 feriti, tutti legati a insurrezioni o attentati, rapimenti e autobombe di matrice principalmente salafita, che hanno provocato in risposta attentati altrettanto mortali attribuiti a Hezbollah.

Il tentativo di Ahmed al Asir, imam sunnita di orientamento salafita, è stato esplicitamente quello di creare un gruppo sunnita fondamentalista da contrapporre al principale gruppo sciita (ma non l’unico), che è Hezbollah, il partito di Dio, impegnato direttamente in Siria a sostenere il regime dell’alawita Bashar al Assad. L’intento di al Asir non è stato certamente un fatto isolato, perché ha con ogni probabilità goduto dell’appoggio occulto di alcuni circoli sunniti esterni al Paese. Ma il personaggio al Asir non era all’altezza del compito e il suo tentativo è stato bloccato dalla reazione decisa dell’esercito libanese (per consolidata tradizione al di sopra delle parti), appoggiato dalle milizie Hezbollah.

In un paese, l’unico in Medio Oriente, in cui la popolazione appartiene a 18 confessioni riconosciute e tutelate dallo Stato, e i sunniti rappresentano solo il 20-22% del totale (gli altri sono circa il 34-35% sciiti e altrettanti cristiani, oltre al 7% rappresentato dai drusi e al 3% da altre realtà), non è così facile trovare adepti anche sunniti disposti a sposare la radicalizzazione islamista. Tanto più che i nemici dichiarati dei salafiti, gli sciiti di Hezbollah, non sono da molti libanesi mal visti o percepiti come violenti, anzi anche tra buona parte dei sunniti e dei cristiani godono di indubbie simpatie. Questo è probabilmente dovuto al fatto che nell’azione di Hezbollah la difesa del Paese viene comunque prima di qualsiasi altra considerazione. E che non ha mai fatto nulla contro il proprio Paese e le sue istituzioni, addirittura partecipa al governo del sunnita Hariri, l’attuale primo ministro.

Per al Asir e gli altri condannati, dopo il ricorso in appello che probabilmente confermerà la condanna, è possibile sperare che la moratoria de facto della pena di morte continui. È giusto sperarlo.

 

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