La Colombia e la verità sulla guerra interna

La Commissione per la verità ha pubblicato il dossier finale che indaga sulle cause e gli effetti del conflitto armato colombiano. La stima dei morti è di 800 mila e oltre 7,7 milioni sono i rifugiati. Le cause di questa guerra sono però ancora da eliminare
Colombia Conflict Report President-elect Gustavo Petro and Francisco de Roux, president of a truth commission, embrace during a ceremony to release a final report by the government-appointed commission regarding Colombia's internal conflict, in Bogota, Colombia, Tuesday, June 28, 2022. (AP Photo/Ivan Valencia)

Dopo cinque anni di lavoro, la Commissione per la verità ha reso pubblici i risultati della ricostruzione delle cause e degli effetti del conflitto armato che da 58 anni insanguina la Colombia.

L’istituzione della Commissione fa parte del processo di pace promosso dal governo dell’allora presidente Juan Manuel Santos e che, nel 2016, ottenne la deposizione delle armi e la smobilitazione della maggiore forza della guerriglia, le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo), oggi trasformate in partito politico. Con la firma degli accordi di pace, la principale causa di violenza è cessata, ma restano purtroppo attivi sia la guerriglia dell’Eln, che alcuni residui ribelli delle Farc e alcuni gruppi paramilitari, dediti più che altro alla criminalità comune, ed i cartelli del narcotraffico che controllano alcune zone dove prospera la produzione e lo smercio della droga.

L’esteso dossier comprende tre documenti, per un totale di oltre mille pagine. Una dichiarazione finale relativa alla visione del conflitto armato, che conclude con un accorato appello alla necessaria riconciliazione, superando steccati che in questi anni non solo hanno approfondito divisioni, ma hanno anche lasciato in secondo piano le ingiustizie che hanno generato ed accentuato il conflitto e le collusioni tra politica, violenza e corruzione.

Un secondo documento è dedicato a ricostruire i fatti, dalle loro origini fino all’attualità. Infine, un ultimo ed importante spazio è dedicato alla voce delle vittime, di coloro che la violenza, sotto molteplici forme, l’hanno sperimentata sulla propria pelle, e in molti modi.
Il bilancio numerico di questi quasi 60 anni di guerra interna è duro: oltre 450 mila le persone assassinate tra il 1985 ed il 2018. Una cifra che tiene conto dei numeri verificati, ma il cui registro reale potrebbe arrivare fino a 800 mila vittime (solo negli ultimi quattro anni, si stima che non meno di 500 attivisti sociali siano stati assassinati nelle zone di guerra).

Il bilancio stima inoltre in 7.752.000 le persone costrette a lasciare le proprie case e le terre che coltivavano per trovare rifugio. I sequestri di persona sono stati quasi 51 mila, mentre oltre 121 mila sono i desaparecidos di cui non sono stati ritrovati i corpi. Ma tale numero si riferisce solo alla ricostruzione possibile tra il 1985 ed il 2016, le stime fanno invece riferimento ad altre 210 mila persone di cui non si sa dove e come siano scomparse.

Tra il 1990 ed il 2016, sono stati oltre 16.200 le bambine, i bambini e gli adolescenti arruolati tra le forze in lotta. Ma anche qui, si tratta di numeri verificati, perché le stime parlano di 30 mila 15enni e 16enni arruolati nella lotta armata. Sono poi oltre 8.200 le esecuzioni extragiudiziali perpetrate tra il 1978 ed il 2016, mentre tra il 1958 ed il 2021 si registrano oltre 179 mila persone assassinate in modo selettivo.
La contabilità di questo dramma contempla anche altri delitti: estorsioni, confinamenti, espropriazione di terre e di beni, feriti in scontri, attentati o per l’esplosione di mine antiuomo, tortura, violenze sessuali, per menzionarne solo alcuni.

I gruppi paramilitari sono responsabili del maggior numero di vittime, più del 45%, seguono i gruppi guerriglieri con il 27%, mentre le forze armate e di polizia lo sono per il 12%. La logica assurda usata dai paramilitari è tra le più atroci e spiega anche perché hanno provocato quasi il doppio di vittime rispetto alle altre forze in guerra. Stando al loro criterio, uno ogni 20 abitanti era un guerrigliero di sinistra da abbattere, e siccome questi erano stimati in numero di 20 mila, bisognava abbattere non meno di 400 mila persone, facessero parte oppure no di gruppi sovversivi.

Presieduta dal gesuita Francisco de Roux, la Commissione nella sua dichiarazione finale sottolinea l’importanza di stabilire la verità per giungere ad una pace autentica, che consenta di fare chiarezza su perché e come è scoppiata una guerra interna così sanguinosa. “La Commissione ha contribuito a fare della verità un diritto pubblico”, si specifica nel testo in risposta alle molte falsità diffuse ed al negazionismo di certi settori politici e sociali. Ma constata anche che tali cause non sono state rimosse e, anzi, in alcuni casi sono state accentuate da coloro che hanno approfittato della guerra per appropriarsi delle terre abbandonate dai rifugiati.

Una sezione della dichiarazione è infatti dedicata al modello economico, segnalando che se non ci saranno cambiamenti sostanziali al riguardo, sarà impossibile evitare il ripetersi della violenza che “evolverà verso forme imprevedibili”. Lo Stato che non riscuote le tasse nei settori controllati dalle persone più abbienti, la gestione di progetti privati di investimento che fanno uso della corruzione, il narcotraffico, e l’esistenza di settori produttivi che hanno fatto ricorso ai “servizi” dei paramilitari per appropriarsi di terre dove espandere le loro attività agricole, sono i quattro punti che la Commissione ritiene vadano presi in considerazione per produrre cambiamenti sostanziali nel modello economico.
«Riconciliarsi significa accettare la verità come condizione per la costruzione collettiva, per superare il negazionismo e l’impunità. Significa prendere la decisione di non ucciderci mai più e togliere le armi alla politica», conclude la Dichiarazione. E aggiunge: la guerra «non permette la democrazia nè la giustizia, e provoca solo sofferenze».

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