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La Chiesa dice no all’evacuazione: i religiosi non abbandoneranno Gaza City

di Sara Fornaro

Sara Fornaro

Il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, e quello greco-ortodosso, Teofilo III, sollecitano la fine delle violenze sulla Palestina. Dopo l’uccisione di medici e giornalisti, protesta anche la Cina. Pubblicato il messaggio per la giornata della pace 2026 di papa Leone XIV: «La pace sia con tutti voi: verso una pace “disarmata e disarmante”.

Il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, lo scorso luglio, tra le macerie di Gaza. Foto del Patriarcato latino di Gerusalemme

La Chiesa non lascerà Gaza City, nonostante l’ordine di evacuazione emesso dal governo israeliano. Lo hanno comunicato ufficialmente, con una dichiarazione congiunta, il 26 agosto, il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, e quello greco-ortodosso, Teofilo III.

“Lasciare Gaza City e cercare di fuggire verso sud equivarrebbe a una condanna a morte” per le centinaia di persone malate, disabili e fragili accolte e assistite dai religiosi. “Per questo motivo, i sacerdoti e le suore hanno deciso di rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che si troveranno nei due complessi” della parrocchia della Sacra Famiglia e di quella greco ortodossa di San Porfirio.

Il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, lo scorso luglio, a Gaza con la comunità della parrocchia del Sacro Cuore e il patriarca greco ortodosso, Teofilo III. Foto del Patriarcato latino di Gerusalemme

Dopo gli appelli inascoltati alla pace di papa Leone XIV e le numerose denunce delle violenze perpetrate dal governo israeliano di Benjamin Netanyahu sui palestinesi, la Chiesa si pone dunque nuovamente come un esempio di difesa concreta del diritto internazionale e della vita delle persone. Lunedì 25, era intervenuto anche il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, che aveva affermato: “Restiamo allibiti di fronte a quello che sta succedendo a Gaza, e nonostante la condanna del mondo intero”, perché “c’è una coralità da parte di tutti nel condannare quello che sta succedendo”.

La pace resta la priorità di papa Leone XIV, come aveva detto fatto capire nel saluto dopo la salita al soglio pontificio. «La pace sia con tutti voi: verso una pace “disarmata e disarmante”» è, infatti, il tema del messaggio per la giornata mondiale della pace 2026, che “invita l’umanità a rifiutare la logica della violenza e della guerra, per abbracciare una pace autentica, fondata sull’amore e sulla giustizia”. Un pace che deve essere “disarmata, cioè non fondata sulla paura, sulla minaccia o sugli armamenti; e disarmante, perché capace di sciogliere i conflitti, aprire i cuori e generare fiducia, empatia e speranza. Non basta invocare la pace, bisogna incarnarla in uno stile di vita che rifiuti ogni forma di violenza, visibile o strutturale”. Quello della pace, sottolinea il papa, “è un invito rivolto a tutti – credenti, non credenti, responsabili politici e cittadini – a edificare il Regno di Dio e a costruire insieme un futuro umano e pacifico”.

Leone XIV, nell’udienza generale del 27 agosto, ha rivolto un “un forte appello sia alle parti implicate che alla comunità internazionale affinché si ponga termine al conflitto in Terra Santa, che tanto terrore, distruzione e morte ha causato. Supplico che siano liberati tutti gli ostaggi, si raggiunga un cessate-il-fuoco permanente, si faciliti l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari e venga integralmente rispettato il diritto umanitario, in particolare l’obbligo di tutelare i civili e i divieti di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione. Mi associo alla Dichiarazione congiunta dei Patriarchi greco-ortodosso e latino di Gerusalemme, di “porre fine a questa spirale di violenza, di porre fine alla guerra e di dare priorità al bene comune delle persone”.

Una protesta a Tel Aviv dei parenti degli ostaggi nelle mani di Hamas, per chiedere al governo di Israele di ottenere il loro rilascio e di mettere fine ai bombardamenti a Gaza. Foto Ansa EPA/ABIR SULTAN

In Israele il 26 agosto è stata anche la giornata di mobilitazione delle famiglie degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas dopo il terribile attentato del 7 ottobre 2023. I manifestanti hanno bloccato strade e autostrade a Tel Aviv e in altre città israeliane. “Un intero popolo – hanno scritto in un comunicato – chiede l’immediato ritorno dei rapiti: i morti per una degna sepoltura e i vivi per la riabilitazione in seno alle loro famiglie”. I manifestanti chiedono anche il cessate il fuoco del proprio esercito a Gaza, dove invece procedono le manovre per l’occupazione militare del territorio palestinese.

“Qualche settimana fa – hanno dichiarato i patriarchi Pizzaballa e Teofilo III nel documento congiunto – il governo israeliano ha annunciato la sua decisione di prendere il pieno controllo della città di Gaza. I media hanno ripetutamente riferito di una massiccia mobilitazione militare e dei preparativi per un’imminente offensiva. Le stesse notizie indicano che la popolazione della città di Gaza, dove vivono centinaia di migliaia di civili – e dove si trova la nostra comunità cristiana – sarà evacuata e trasferita a sud della Striscia. Al momento della presente dichiarazione, sono già stati emessi ordini di evacuazione per diversi quartieri della città di Gaza”.

In una foto postata da AJnews, Mohammed Salama, giornalista di Al Jazeera ucciso nel raid di Israele presso l’ospedale Nassar di Khan Younis, a Gaza, 25 agosto 2025. Foto ANSA

Non solo: continuano pesanti bombardamenti, con morti civili, come quello nel quale, il 25 agosto, hanno perso la vita medici, operatori della protezione civile e giornalisti che si trovavano nell’ospedale Nasser di Khan Yunis, una delle città della Striscia di Gaza. Una violenza che ha provocato le proteste anche della Cina. “Siamo scioccati – ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun – e condanniamo il fatto che il personale medico e i giornalisti abbiano purtroppo perso ancora una volta la vita nel conflitto”.

“Sembra – affermano Pizzaballa e Teofilo III – che l’annuncio del governo israeliano secondo cui «si apriranno le porte dell’inferno» stia effettivamente assumendo contorni tragici. L’operazione non è solo una minaccia, ma una realtà che è già in fase di attuazione”.

Dopo l’attentato del 7 ottobre, quando sono cominciati i bombardamenti di Israele su Gaza, “il complesso greco-ortodosso di San Porfirio e quello latino della Sacra Famiglia sono stati un rifugio per centinaia di civili. Tra loro ci sono anziani, donne e bambini. Nel complesso latino ospitiamo da molti anni persone con disabilità, assistite dalle Suore Missionarie della Carità. Come gli altri abitanti della città di Gaza, anche i rifugiati che vivono nella struttura dovranno decidere secondo coscienza cosa fare. Tra coloro che hanno cercato riparo all’interno delle mura dei complessi, molti sono indeboliti e malnutriti a causa delle difficoltà degli ultimi mesi”.

I patriarchi Pizzaballa e Teofilo III lo scorso luglio a Gaza dopo il bombardamento della parrocchia della Sacra Famiglia, Foto del Patriarcato latino di Gerusalemme

Per non abbandonarli, i religiosi che li assistono resteranno a Gaza City. “Non sappiamo esattamente cosa accadrà, non solo per la nostra comunità, ma per l’intera popolazione. Possiamo solo ripetere ciò che abbiamo già detto: non può esserci futuro basato sulla prigionia, lo sfollamento dei palestinesi o la vendetta”. Il rischio è concreto. Dopo il bombardamento dello scorso luglio, nel quale sono morte tre persone e ne sono rimaste ferite una decina, compreso il parroco Gabriel Romanelli, qualche giorno fa una nuova esplosione ha danneggiato un serbatoio per l’acqua vicino alla parrocchia, fortunatamente senza provocare feriti.

I patriarchi Pizzaballa e Teofilo III ripetono le parole di papa Leone XIV: «Tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre; e nessuno può costringerli a un esilio forzato» (Discorso al gruppo di rifugiati delle Chagos, 23.8.2025).

Yazan Abu Foul, di due anni, in braccio alla madre Naima nel campo profughi di Al-Shati, nella Striscia di Gaza. Entrambi soffrono pesantemente la fame e la mancanza di generi di prima necessità. EPA/HAITHAM IMAD

L’evacuazione, la cacciata dei palestinesi dalla loro terra “non è la giusta via. Non vi è alcuna ragione che giustifichi lo sfollamento deliberato e forzato di civili. È tempo di porre fine a questa spirale di violenza, di porre fine alla guerra e di dare priorità al bene comune delle persone. C’è stata abbastanza devastazione, nei territori e nella vita delle persone. Non vi è alcuna ragione che giustifichi tenere dei civili prigionieri o ostaggi in condizioni drammatiche”. Servono invece percorsi di guarigione e serve l’impegno non a parole, ma concreto, della comunità internazionale, a cui i patriarchi si appellano con urgenza “affinché agisca per porre fine a questa guerra insensata e distruttiva, e affinché le persone scomparse e gli ostaggi israeliani possano tornare a casa”.

La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola al Meeting di Rimini, Italy, 26 August 2025 ANSA/DORIN MIHAI

Un appello rilanciato, dal Meeting di Rimini, dalla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che ha affermato: “A Gaza la situazione è intollerabile: vogliamo che le uccisioni cessino, che gli ostaggi siano liberati, non possiamo essere indifferenti. Dobbiamo fare in modo di finire questo ciclo di conflitti, tutto ciò è possibile”. Serve però l’azione concreta dei leader politici internazionali. Oltre a dichiarazioni indignate, finora è stato fatto troppo poco dalle istituzioni europee e anche dal governo italiano. Un immobilismo che, nei giorni scorsi, ha spinto il ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp a dimettersi, per l’incapacità del suo Paese di varare sanzioni contro Israele.

 

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