La casa dei libri

La nuova pellicola di Isabel Coixet, nelle sale in questi giorni, esalta ancora una volta il ruolo dei libri come strumento di conoscenza e cambiamento. Un tema che non manca nella storia del cinema
Sono in ottimi rapporti, la letteratura e il cinema. Lo sono sempre stati e forse lo saranno sempre. Più che altro è il cinema ad essersi perdutamente innamorato dei romanzi, dei poemi, dei racconti e delle poesie. Sin da ragazzino, con un colpo di fulmine che ancora arde e non si consuma. Lei, la letteratura, antica e inarrivabile, col suo irriproducibile potere immaginifico, ha sempre lasciato fare. Nobile e generosa, affascinante e inafferrabile, per molti versi incontrastabile. E quindi i film tratti da opere letterarie sono un mare, una montagna che cresce ogni giorno, anche se spesso non valgono il libro da cui partono. Le opere letterarie tratte da film, invece, sono quantomeno inusuali. Poi ci sono certi omaggi veri e propri che il cinema regala alla sua amata: film che raccontano quanto è bello e quanto è importante perdersi in un buon libro. Anche se, pure in quel caso, povero cinema, c’è il rischio che il film stesso sia tratto da un libro precedente. Pazienza, l’intenzione c’è, e qualche volta non solo quella.
L’ultima opera cinematografica che dice ti amo alla letteratura arriva nelle sale in questi giorni, diretta dalla spagnola Isabel Coixet, una che ha sempre raccontato donne in lotta per i loro sogni, persone che cercano di superare così un momento delicato della propria vita. Siamo nell’Inghilterra della fine degli anni anni ’50, con la guerra da poco finita, in un paesino in riva al Mare del Nord. La pellicola si intitola La casa dei libri ed è tratta – guarda un po’ – da un romanzo, La libreria di Penelope Fitzgerald, del 1978. Racconta la storia di Florence Green (interpretata da Emily Mortimer), una donna rimasta vedova che si trasferisce in una zona remota del paese per aprire una piccola libreria. Aveva maturato questo progetto col marito poi scomparso, ma qui incontra una signora potente, insopportabile e a dir poco oppositiva, che compatta intorno a sé un circoletto di conservatori e soldatini vari, per impedire che una straniera di mente aperta introduca un nuovo (ritenuto pericoloso) nel contesto minuto e ordinato da lei controllato con soddisfazione. Anche Florence, però, troverà qualche alleato inaspettato: qualche altro lottatore che la sosterrà per impedire – non diciamo se riuscendoci o no – che il suo nobile sogno vada in fumo.
Di bello, nel film, insieme all’ambientazione seducente c’è il racconto del valore enorme che aveva la letteratura in quegli anni – più di oggi, purtroppo – e soprattutto c’è la descrizione del piacere della lettura, delle cose le emozioni che si provano nello scorrere di un libro, nell’avvicinarsi alla sua conclusione. Non mancano slanci d’amore verso i libri, frasi che accarezzano questa grande invenzione e risorsa dell’uomo. Una fra le tante: «Nessuno si sente mai solo in una libreria».
La casa dei libri può così sedersi accanto ad altri film che hanno cantato la passione per la grande madre letteratura: a parte Notting Hill, con cui condivide l’ambientazione in una libreria, si possono citare L’attimo fuggente, che ha lodato la poesia – così come l’incantevole Il postino – o il relativamente recente Storia di una ladra di libri, che parla del valore delle parole attraverso i libri. C’è Il ladro di orchidee, sul tema della trasposizione di un libro in film, e certamente Il nome della rosa – anche li tratto da un precedente grande romanzo, quello di Umberto Eco – che racconta il potere rivoluzionario della letteratura, intesa come mezzo di espressione del pensiero; il suo essere strumento di conoscenza e cambiamento, e quindi la sua capacità di sovvertire equilibri e poteri, e con ciò la paura che la letteratura ha fatto e può fare. Per non parlare di certi fantastici biopic sui grandi scrittori e poeti della storia: da Truman Capote – a sangue freddo a Il giovane favoloso su Giacomo Leopardi, da Dickens – L’uomo che inventò il Natale a Delitti e segreti su Kafka, da Bright Stars su John Keats a The hours su Wirginia Woolf.
L’elenco sarebbe lungo, ma forse il film che meglio omaggia i libri – anche stavolta, povero cinema, tratto da un importante romanzo – è quel Fahreneith 451 diretto da Francois Truffaut nel 1966. Siamo nell’ambito della fantascienza distopica, in un regime immaginario in cui la televisione domina le vite di tutti e le opere letterarie sono state messe al bando. Perché chi comanda è convinto che la lettura produca solo uomini pieni di vanità e snob verso i meno colti (rischio per altro presente nel sapere dell’uomo, nel momento in cui questo non è condiviso sanamente e non è strumento di relazione). Solo che il film ricorda anche come nei libri sia contenuta l’umana conoscenza, e come dietro ogni opera letteraria via sia la vita di un uomo, la sua ricerca, la sua esperienza, e come i libri offrano la possibilità di trovare un pensiero nuovo capace di aprirci una porta sulla nostra vita e magari salvarla. In Farheneith 451, i pompieri si occupano di scovare lettori clandestini e di bruciare ogni libro di cui sono in possesso. Tra questi vigili del fuoco – che somigliano più alla gestapo che a innocui spegnitori di incendi – c’è un certo Montag, bravo nel suo mestiere tanto da essere prossimo alla promozione. Solo che un giorno non riesce a resistere alla tentazione di leggere uno dei libri che brucia, e finisce per mettersi nei guai, anche perché inizia a leggerne molti altri. Si salverà fuggendo e rifugiandosi in una comunità di “uomini libro”, di persone, cioè, che in mezzo ai boschi vivono insieme imparando i libri a memoria, aspettando che un giorno sarà di nuovo possibile dettarli a qualcuno per farli stampare. Un ormai anziano ma ancora giovane e ottimo film, quello di Truffaut, tratto da un romanzo altrettanto importante, che non a caso, nel film La casa dei libri, viene citato ripetutamente.

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