La Carta di Firenze nella notte della guerra in Europa

Il contemporaneo incontro a Firenze di vescovi e sindaci del Mediterraneo ha cercato di riprendere la profezia di Giorgio La Pira di una concreta diplomazia parallela portata avanti dai popoli e dalle città. Con il Mediterraneo crocevia dei rapporti tra est e ovest e tra nord e sud del mondo. Un primo bilancio del contributo dei sindaci chiamati ora a misurarsi nella notte della guerra calata in Europa con il conflitto in Ucraina
Firenze e Giorgio La Pira foto Wikipedia

Dal 25 al 27 febbraio a Firenze su iniziativa del sindaco Dario Nardella si è svolto il «Forum dei Sindaci del Mediterraneo». Un incontro che ha visto la partecipazione di 65 sindaci di alcune tra le centinaia di città che vivono intorno al “grande lago di Tiberiade”. Così infatti chiamava il Mediterraneo Giorgio La Pira.

Questo piccolo grande mare, culla di civiltà, di scambi commerciali, culturali, linguistici e religiosi ma anche mare di crociate, di guerre, di piraterie, e oggi di migrazioni disumane che spesso hanno nella morte per annegamento la loro fine. Una iniziativa di pace dunque nel solco di quella diplomazia parallela ideata e portata avanti con testarda pazienza da La Pira: diplomazia costruita sul dialogo culturale e religioso prima di tutto ma in vista di un chiaro fine politico: il superamento dei muri culturali, religiosi e ideologici per costruire un ponte di dialogo, di condivisione, di fraternità nel progetto tutto politico della costruzione di una “casa comune” dei popoli mediterranei, una casa a sua volta laboratorio per la pace nel villaggio globale.

A La Pira era chiaro come, nonostante lo scontro Usa/Unione Sovietica, la realtà economico-sociale del pianeta e le dinamiche di globalizzazione già in atto negli anni ’50 e ’60 con ritmi sempre veloci, richiedevano l’intreccio di politiche bilaterali con azioni volte al rafforzamento dell’ONU in vista della costruzione di un vero e proprio governo del mondo. In attesa della pubblicazione degli atti dell’incontro possiamo tracciare, seppur sommariamente, un primo bilancio.

Il primo elemento che dovremmo quindi tenere presente per misurare il valore di questo incontro e le speranze che esso ci apre è proprio quel “sentiero di Isaia” percorso da La Pira: un sentiero che in queste ore tragiche ci ricorda alcune verità, difficili e responsabilizzanti, che sono riassumibili in pochi punti fermi:

  1. in un mondo sempre più piccolo e sempre più plurale, ancora sotto la minaccia di una guerra atomica, «la guerra è impossibile e la pace inevitabile»;
  2. al dialogo, da volere, proporre e percorrere ostinatamente non c’è alternativa;
  3. non è possibile la pace senza giustizia e senza il reciproco rispetto, senza un’equa distribuzione della ricchezza e senza la rinuncia delle armi e la volontà di trasformare l’industria bellica in industria civile. Perché questo e non altro vuol dire l’appello-speranza di Isaia di trasformare le lance in aratri.

L’amministrazione fiorentina ha dunque il merito di aver ripreso – si spera in una visione di lungo periodo – l’idea lapiriana di fare di Firenze una città a servizio della pace tra i popoli, a servizio del dialogo e della conoscenza reciproca fra culture e fedi religiose, a servizio della giustizia sociale globale.

Il Forum dei Sindaci si è svolto in parallelo con il secondo incontro organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana «Mediterraneo frontiera di pace» dopo quello di Bari del febbraio 2020. Sessanta vescovi si sono confrontati sui diritti e sui doveri della cittadinanza, su cosa sia e su come si realizzi concretamente questa cittadinanza.

Il Forum dei sindaci era invece articolato in quattro sessioni nella prima giornata di lavori e in due sessioni nella seconda: tra l’agenda della prima i temi del dialogo culturale e della cooperazione tra le città del Mediterraneo, la sicurezza sanitaria e la promozione sociale in tempi di pandemia, l’inquinamento delle acque, la tutela ambientale e delle risorse idriche ed energetiche e la necessità di uno sviluppo economico ecosostenibile e infine le migrazioni tra le sponde del Mar Mediterraneo e come le città possano contribuire alla definizione di nuove politiche migratorie nell’effettivo rispetto dei diritti umani fondamentali.

Si è trattato quindi di due eventi paralleli che si sono volutamente posti in dialogo: il convento di Santa Maria Novella, dove hanno lavorato i vescovi, e quello di Palazzo Vecchio, dove si sono confrontati i sindaci.

Sono stati in qualche modo i luoghi della dialettica tra istituzioni religiose e politiche, tra la dimensione del sacro e del profano, nella valorizzazione reciproca entro lo spazio della laicità democratica quale spazio comune, vera res pubblica dove le differenze sono opportunità di crescita collettiva e le identità non barriere, ma realtà sempre mutevoli da costruire con razionalità e volontà nell’orizzonte di quella umanità pacificata e pacifica che è stata l’utopia realistica di Ernesto Balducci, non a caso stretto collaboratore di La Pira nelle iniziative internazionali degli anni ’50 e ’60 e poi protagonista di primo piano del movimento pacifista italiano negli anni ’80.

 

Sabato 26 nella mattinata sindaci e vescovi si sono riuniti a Palazzo Vecchio dove è stata presentata la «Carta di Firenze», firmata nel pomeriggio nel nuovo Auditorium del Maggio Musicale Fiorentino dopo alcuni interventi e testimonianze sul tema della «diplomazia delle città come ponte tra l’Unione Europea e la Regione del Mediterraneo».

Domenica 27 le due iniziative avrebbero chiuso i loro lavori con l’incontro in Palazzo Vecchio tra papa Francesco e i sindaci del Mediterraneo e con alcune famiglie di profughi. Nella Basilica di Santa Croce alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella il papa avrebbe dovuto presiedere la Santa Messa e recitare il consueto Angelus domenicale.

Il programma dell’ultima giornata è stato modificato in seguito all’impossibilità del papa per motivi di salute a essere fisicamente presente a Firenze, ma significativamente è stato il presidente Mattarella sia a ricevere copia della «Carta di Firenze» sia a incontrare le famiglie dei profughi.

 

Cosa dice la Carta? Quale ruolo potrà giocare nel prossimo futuro? Quali potranno essere le ripercussioni positive delle giornate di pace e di dialogo fiorentine vissute proprio mentre in Europa l’aggressione della Russia contro l’Ucraina apriva la ferita più tragica della storia del nostro secondo dopoguerra dopo le guerre nei Balcani?

Facendo tesoro dell’«eredità di Giorgio La Pira» e consapevoli «che il Mediterraneo è stato storicamente il crocevia» tra est e ovest e tra nord e sud del mondo, sindaci e vescovi si dichiarano «uniti nella convinzione che il Mediterraneo non può e non vuole essere luogo di conflitto tra forze esterne» e, «guidati da un’aspirazione condivisa a porre la persona umana al centro dell’agenda internazionale», promuovono «il rispetto e la dignità dei diritti fondamentali di ogni individuo» «convinti che valorizzare e promuovere il ruolo delle città e il dialogo tra le sue comunità civiche e religiose» offra un contributo essenziale alle sfide epocali che attendono l’umanità nei prossimi decenni: la pace, la protezione del pianeta, la garanzia della prosperità.

 

La «Carta di Firenze» si fonda su dodici importanti riconoscimenti condivisi tra sindaci e vescovi che sono altrettanti punti di partenza per un lavoro futuro: l’accettazione e la valorizzazione del principio dell’unità nella diversità; la centralità «di un impegno educativo che parta dai bisogni primari, comuni a tutti gli esseri umani»; la necessità del dialogo «tra le diverse tradizioni culturali e religiose presenti nelle nostre comunità»; l’utilità di creare programmi universitari comuni nell’area mediterranea; il ruolo chiave della «diplomazia a livello urbano»; il diritto universale alla salute e alla protezione sociale; la necessità di «implementare, quanto prima, soluzioni integrate per evitare cambiamenti climatici catastrofici»; promuovere una vera trasformazione della società finalizzata all’instaurazione di una cultura della sostenibilità sociale; «promuovere opportunità di lavoro di qualità per le categorie svantaggiate, giovani e donne» e «favorire lo sviluppo economico e sociale dei Paesi di origine dei migranti, anche attraverso programmi di cooperazione, volti in particolare alla tutela dell’infanzia»; l’impegno a garantite nelle «politiche migratorie nel Mediterraneo e alle frontiere» il rispetto dei «diritti umani fondamentali»; la necessità di rispondere alle sfide  della desertificazione, della deforestazione e del degrado del suolo che sono all’origine dell’aumento del flusso migratorio; il rafforzamento, infine, delle relazioni interculturali e interreligiose.

I sindaci e i vescovi esprimono anche sette «invocazioni», assumendosi la responsabilità di portare avanti il percorso iniziato a Firenze. Si auspica quindi che in «tutti i Paesi mediterranei» si stabilisca una consultazione regolare tra i governi e i sindaci, i rappresentanti delle comunità religiose, e delle istituzioni culturali sulle questioni discusse nel Forum fiorentino; si sollecitano i governi, i sindaci e i rappresentanti delle comunità religiose «a promuovere programmi educativi a tutti i livelli», «iniziative condivise per il rafforzamento della fraternità e della libertà religiosa nelle città, per la difesa della dignità umana dei migranti e per il progresso della pace in tutti i paesi del Mediterraneo»; si rinnova l’appello ai sindaci e ai rappresentanti delle comunità religiose «a dialogare e mobilitare risorse per uno sviluppo sociale ed economico sostenibile a favore della cooperazione internazionale, del dialogo interculturale e interreligioso, del rispetto di ogni individuo attraverso una più equa condivisione delle risorse economiche e naturali»; si sollecitano infine i rappresentati delle comunità religiose «a esplorare come possano interagire tra loro e con i rappresentanti dei governi municipali e dei leader civici al fine di comprendere le cause e le ragioni della violenza e, quindi, lavorare insieme per eliminarla»; si invitano i governi ad adottare «regole certe e condivise per proteggere l’ecosistema mediterraneo».

Si tratta di punti non banali, anche se certamente non nuovi, in documenti di intenti di carattere internazionale. Ispirate alla lezione di La Pira sono alcune parole chiave o meglio alcuni «principi» che per il sindaco di Firenze erano fondamenta per una «casa comune» costruita sulla roccia e non sulla sabbia: l’unità del genere umano nella diversità delle sue espressioni culturali, religiose e politiche, la sacralità della persona umana e della sua dignità, da realizzarsi però con la concreta assicurazione di una serie di bisogni primari ineludibili che si traducevano sul piano giuridico in altrettanti diritti inalienabili e non negoziabili nelle pur articolate dottrine politico-economiche: il diritto al lavoro, alla casa, all’assistenza sanitaria, all’istruzione.

La concreta assicurazione di questi diritti da parte dello Stato – anche attraverso le autonomie locali – faceva sì che la dignità della persona umana non rimanesse un richiamo retorico, ma una realtà vissuta.

I sindaci del Mediterraneo hanno solennemente dichiarato che i migranti sono essenzialmente esseri umani da salvare dall’imminente pericolo di morte e che nessuna politica di contenimento e controllo dei flussi migratori può ammettere la sospensione dell’effettivo esercizio da parte dei migranti dei diritti inalienabili dell’uomo stabiliti dalla solenne Dichiarazione delle Nazioni Unite.

Al contempo ci sembra significativo che i sindaci abbiano invitato i rispettivi governi a collaborare per costruire uno sviluppo economico che riduca i fenomeni migratori, vale a dire politiche di redistribuzione della ricchezza del continente più ricco e allo stesso tempo più affamato del mondo: l’Africa.

Non è un caso dunque che La Pira intese i Colloqui mediterranei come l’occasione di costruzione di un grande ponte tra l’area europea e l’area africana. Il Mediterraneo poteva così diventare quel lago di pace, «il lago di Tiberiade», laboratorio della pace mondiale.

La «Carta di Firenze» è una sfida: nella misura in cui i sindaci e le città che a Firenze si sono riunite avranno la volontà politica di governare i loro territori alla luce dei principi espressi nella Carta stessa, queste città saranno – lapirianamente – altrettanti laboratori di stimolo e di intelligente provocazione per i rispettivi governi e le rispettive nazioni.

Nel momento in cui uno Stato si arroga il diritto di bombardare le città di un altro paese, i sindaci hanno il dovere di denunciare questo falso diritto e far valere quello che per La Pira era un chiaro obbligo giuridico dei primi cittadini: trasmettere alle generazioni future il patrimonio delle città inalterato e casomai arricchito (Discorso di apertura del Convegno dei Sindaci delle città capitali, 1955). In queste ore di paura e di angoscia, di morte e di sofferenza, la «Carta di Firenze» può essere un segno di speranza nella misura in cui essa diventi la bussola per le città e per i governi di una nuova politica.

 

 

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