La Brexit vista dagli italiani nel Regno Unito

Il popolo del Regno Unito, il 23 giugno scorso, si è espresso a favore dell’uscita del Paese dall’Unione Europea. Eppure tutto è ancora incerto, mentre i nostri connazionali che vivono oltremanica non temono ripercussioni sul loro lavoro  
Brexit

Era il 23 giugno quando, tra la sorpresa e lo stupore del mondo intero, il popolo britannico fu chiamato ad esprimersi sull’opzione di lasciare l’Unione Europea (UE), opzione che raggiunse il 52%. Più di 30 milioni di cittadini si recarono alle urne, ovvero il 71.8% degli aventi diritto. Bisogna ricordare che, tecnicamente, quel referendum aveva un mero valore consultivo, sebbene la portata politica fosse chiara. Meno chiaro è stato finora il dopo-Brexit, sia sul piano interno che su quello europeo.

Il primo elemento da considerare è la frammentazione del Regno Unito. In Inghilterra (eccetto la città di Londra) la scelta di lasciare l’UE ha prevalso con il 53.4%, così come in Galles, dove ha raggiunto il 52.5%. Invece, la Scozia e l’Irlanda del Nord si sono espresse per restare nell’UE, raggiungendo rispettivamente il 62% ed il 55.8%. La Scozia ha annunciato immediatamente di voler fare di tutto per restare nell’UE, aprendo la strada ad uno scenario di un proprio distacco dal Regno Unito, decretandone così di fatto la fine. Finora tutto è in sospeso. Il Primo Ministro David Cameron, che aveva promesso un referendum sulla permanenza nell’UE per ragioni politiche interne, si è invece subito dimesso. Theresa May, che gli è succeduta, pur avendo manifestato la sua contrarietà all’uscita dall’UE, ha dichiarato di voler rispettare la volontà del popolo. Ma, in realtà, tutti i partiti sono stati coinvolti dal clima di incertezza. Incertezza che sui mercati internazionali ha creato scompiglio e fatto crollare il valore della Sterlina, mentre da Bruxelles si è subito chiesto a Londra di procedere al più presto ad avviare la procedura di uscita del Regno Unito dall’UE, ai sensi di quell’ormai famoso articolo 50 del Trattato di Lisbona.

 

Nel frattempo è successo di tutto: proteste di piazza, minacce da parte di banche e multinazionali di lasciare la City londinese, richieste di un nuovo referendum, ecc. Theresa May ha affermato di voler avviare la procedura solo nel marzo 2017 e, quindi, si prevede che il negoziato non possa terminare prima dell’estate del 2019. Ma l’Alta Corte ha stabilito che il Governo debba ottenere l’appoggio del Parlamento per innescare il processo dell’articolo 50, decisione verso la quale May ha presentato un appello alla Corte Suprema che verrà discusso a partire dal 5 dicembre, con la probabile impossibilità di invocare l’articolo 50 a marzo. Secondo indiscrezioni, l’unica certezza è che il Governo britannico non abbia in realtà ancora nessun piano, mentre ci sono gruppi composti da parlamentari, impresari e membri della società civile che si starebbero organizzando per chiedere un referendum sull’accordo finale che il Regno Unito potrebbe raggiungere con l’UE nel 2019. Eppure, secondo Philip Hammond, Cancelliere dello Scacchiere, il processo potrebbe necessitare anche di sei anni, dovendo ridiscutere 43 anni di norme e trattati in vigore per la Gran Bretagna, mentre l’accordo raggiunto con l’UE andrebbe poi anche approvato da tutti i parlamenti dei 27 Stati membri.

 

Per ora nulla è cambiato per quanti vivono nel Regno Unito, sia tra i britannici che tra i milioni di stranieri (europei e non). Molti sono gli italiani che vivono e lavorano oltremanica. Ad alcuni abbiamo chiesto commenti ed impressioni.

Raffaella, 27 anni, manager di un laboratorio in un istituto di ricerca ad Aberdeen, in Scozia. «Ho trovato questo lavoro tre anni fa cercando in internet posizioni libere all’interno di università del Regno Unito. Come per la ricerca di qualsiasi altro lavoro, la difficoltà è stata trovare un annuncio di lavoro che richiedesse le competenze che avevo acquisito in Italia durante l’esperienza di laboratorio necessaria per la stesura di entrambe le tesi sperimentali. Mi sono ritrovata molto contenta della mia scelta perché io avuto la possibilità di mettere in pratica, anche fuori dall’Italia, le mie conoscenze teoriche. Prima di spostarmi nel Regno Unito temevo di non essere alla altezza del lavoro offertomi, invece già dopo pochi mesi mi sono ricreduta. Mi sono infatti sentita molto competente, grazie a buoni insegnanti, intensi anni di studio e competenti supervisori di laboratorio dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Spostarsi e cambiare vita non è mai facile. C’è da preoccuparsi di trovare una casa, aprire un conto in banca, pagare tasse e bollette e capire come funzionano tante dinamiche in un paese straniero e del tutto nuovo. A questo si aggiunge il fatto che, ovunque tu ti trova, supermercato, banca o lavoro, sei costretto a parlare una lingua che non è la tua. All’inizio è stato frustrante, poi mi sono abituata, soprattutto perché ho conosciuto tantissime persone nella mia stessa situazione con cui ho condiviso storie di una nuova vita in Scozia. Infatti, nonostante Aberdeen sia una città piccola – conta poco più di 200.000 abitanti – è però abitata da migliaia di stranieri. Ho amici provenienti da tutto il mondo, dal Brasile all’India, e questo ambiente multietnico mi ha aiutato ad aprire la mente su tante dinamiche della vita e quindi a crescere. Le persone del posto, gli scozzesi, sono molto allegri ed alla mano, si sentono sempre fieri di incontrare stranieri nella propria città. Dopo il referendum della Brexit, gli scozzesi con cui ho scambiato una chiacchiera erano del tutto increduli, perché tutto sommato gli scozzesi si sentono europei e in quanto tali, vogliono restare in Europa. Ammetto che ho sentito qualche eccezione a riguardo. In ambito lavorativo, avendo un contratto permanente, sembrerebbe meno probabile riscontrare problemi in futuro per poter restare in Scozia, anche se la situazione per ora non è molto chiara a riguardo. Qualora qualcosa dovesse interferire con la posizione, probabilmente valuterò l’idea di lasciare il Regno Unito, ma per ora non faccio molti programmi».

Debora, 38 anni, vive a Liverpool e lavora come agente di vendita per American Airlines, compagnia aerea degli Stati Uniti. «Non è stato difficile trovare lavoro, mi trovo bene. Dopo Brexit mi sembra che non sia cambiato nulla ma ho paura che la mia compagnia possa cambiare sede se il Regno Unito e l’Unione Europea non faranno un buon accordo».

Marcella, 35 anni, vive a Liverpool e lavora come agente di supporto. «È stato abbastanza facile trovare lavoro e vivo bene. Non è cambiato nulla dopo il referendum e, secondo me, non cambierà comunque niente in futuro».

Marco, 33 anni, vive da circa tre anni nel Regno Unito e, in particolare, da quasi due nel Galles. Lavora come operatore in un ospedale con persone che soffrono di malattie mentali. «Qui la situazione non è cambiata molto, visto anche che la Brexit entrerà in vigore dal 2019. Sicuramente qui la vita è nettamente più facile rispetto all’Italia, anche se sei straniero e credo che per le persone che già si saranno sistemate entro il 2019 non ci saranno problemi di alcun genere».

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