La bambina che nessuno vuole

Esce il film “La petite” (la bambina) del regista Guillaume Nicloux su una figlia (in)desiderata di una madre surrogata. Paura e sentimento. E diamo anche una breve analisi del successo di "C'è ancora domani" di Paola Cortellesi

Joseph, che vive nei pressi di Bordeaux e intarsia mobili, è invecchiato anzitempo, è burbero e vedovo inconsolabile. Viene a sapere che suo figlio e il compagno sono appena morti in un incidente aereo. La coppia aspetta un bambino tramite una madre surrogata che vive in Belgio. Che ne sarà di questo piccolo? Joseph è il nonno legittimo? Il sessantenne non accetta l’idea che il nascituro non sappia chi sono i genitori, venga dato ad una famiglia qualsiasi, o la madre lo tenga con sé in chissà quale tipo di vita. Nonostante la figlia lo sconsigli, come pure i genitori del compagno del figlio, testardamente si muove alla ricerca della madre e la trova a Gand, con fatica, disposta a ricevere i soldi mai avuti e poi a dare via il nascituro. La ragazza è giovane, ha pure una figlia… Da qui una serie di imprevisti, di sorprese, di amore anche ad una nuova vita che darà calore al gelo dei rapporti e a Joseph stesso. Come sarà il futuro?

È delicato questo film che affronta un tema sensibilissimo più che mai oggi, quello della maternità surrogata e di una nazione, il Belgio, dove ciò è possibile senza intoppi. Quello che sorprende è il grande rispetto che il racconto mostra nei confronti dei personaggi, delle loro storie personali travagliate, dei loro diversi atteggiamenti di fronte ad una vita futura e imprevista: indifferenza, negazione, opposizione. Tutto il racconto si concentra su Joseph, uomo solitario e chiuso, che improvvisamente all’idea di una nuova vita che ha un po’ del suo sangue ha il coraggio di lottare, di andare contro tutto e tutti, anche contro sé stesso, per dare la possibilità ad un bambino di venire accolto con affetto e di crescere senza drammi, il meno possibile.

Recitata da un grande attore come Fabrice Luchini e da Mara Taquin, senza lungaggini e discorsi retorici, ma con il sentimento, e con amore, la narrazione – peraltro breve – scivola dallo schermo e penetra nello spettatore per l’intensità e la verità che il regista esplora senza paura e senza mai caricarla. C’è ancora un cuore anche nella laica Francia dove i padri sanno essere un esempio di coraggio davanti alla gioventù smarrita che non ha il cuore indurito. Da non perdere.


Perché ha successo “C’è ancora domani”?

Molti se lo stanno chiedendo nei riguardi di un’opera prima, come regista, dove Paola Cortellesi interpreta una donna del 1946 vittima di un maschilismo violento nella Roma appena liberata. Il film è ancora un campione di incassi (oltre due milioni di spettatori) e ha riportato il pubblico in sala con il solo passaparola, un fatto ormai insolito e che ha fatto fiorire commenti e anche gelosie.

Il fatto è che la sceneggiatura scritta dalla Cortellesi con Furio Andreotti e Giulia Calenda funziona, è rapida, affronta la commedia con realismo e con tocchi leggeri da musical nei momenti violenti. Il bianco e nero dona al racconto l’aria del neorealismo che qui funziona molto bene, anche se la Cortellesi tende a fare Anna Magnani. Gli attori sono credibili, dall’inusuale violento e debole Valerio Mastandrea al cattivissimo suocero Giorgio Colangeli.

In particolare, il film, astutamente, coglie l’atmosfera attuale di stupore davanti al numero di femminicidi che riporta alla necessità di una autentica liberazione delle donne come avvenne per le elezioni del 1946, conclusione forse un po’ forzata, ma storica.

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