Il kitsch ci sta sommergendo

Le nostre città d’arte sono assediate da un nemico invisibile ma pernicioso: il cattivo gusto. Le multe della Raggi a Roma vanno nella direzione giusta, ma non bastano certo. La questione non è di polizia, ma di cultura
La fontana di Piazza Spagna presa d'assalto dai tifosi del Feyenoord, Roma, 19 febbraio 2015. ANSA/VINCENZO TERSIGNI

A Roma lo spettacolo è quotidiano: attorno alle fontane più belle della più bella città del mondo, soprattutto quelle più note come la Fontana di Trevi, il Tritone, la Barcaccia, la Fontana dei leoni di Piazza del Popolo, senza dimenticare le fontane minori, delizie di piazze e slarghi della città dei cesari e dei papi, l’ondata turistica talvolta è veramente irrefrenabile. Le orde barbariche, chiamiamole così, bivaccano attorno ad esse, si abbeverano, si lavano, gettano rifiuti, trattano marmi delicati con la massima indifferenza, tanto c’è chi pensa a pulire o riparare. Talvolta qualcuno, come i ben noti tifosi di Rotterdam, le danneggiano pure con martelli e altri oggetti contundenti, ma sono fatti rari. La sindaca Raggi ha voluto mettere fine a tutto ciò, vietando i bivacchi attorno alle fontane e istituendo multe fino a 240 euro per chi contravviene all’ordinanza.

Ma c’è un nemico più grave che assedia le nostre città: il kitsch, cioè il cattivo gusto, la sfacciata ostentazione di brutture estetiche, le pigmentazioni chimiche fuori luogo dei vestiti, la trasandatezza estrema dell’abbigliamento, fino all’ostentazione di nudità flaccide e sgraziate… Il sostantivo tedesco kitsch indica lo stile di oggetti artistici di cattivo gusto. È un termine spesso associato a tipi di arte zuccherosi, sentimentali, svenevoli, patetici. I critici ritengono che kitsch possa significare anche mancanza di creatività e originalità. Spesso si confonde tuttavia kitsch con un termine inglese, trash, che vuol dire spazzatura. Se quest’ultimo indica qualcosa di deliberatamente spregevole, brutto, avulso da ogni ricerca estetica, il kitsch è invece indice di trascuratezza, di conformismo alle mode massificate.

Recentemente a Venezia ho fatto un piccolo inventario delle tracce della cultura kitsch che ho trovato nelle calli, nei campi e nei canali veneziani. Oggetti, azioni, linguaggi. Comincio dai negozi tiger, dove si vende solo kitsch a prezzi stracciati. Continuo con le navi da crociera che attraversano il Canale della Giudecca e poi vomitano sulle banchine migliaia di crocieristi che invadono la città dovendola “possedere” in tre-ore-tre in una bulimia turistica da collezionisti di foto ricordo. E che dire delle vestimenta? Gli abiti Nike e Adidas sono tutti uguali, pare d’essere a New York o a Singapore. Orridi sono i telefonini rosa, verdi pisello o fucsia. Detestabili i selfie, soprattutto quelli incongrui: ne ho visti scattare dinanzi a un lampione o a una vetrina d’un negozio Swarovski bloccando il traffico nella calle. Anche gli yacht ormeggiati sulla Riva degli Schiavoni sono kitsch, ma miliardario. Intollerabili, poi, i vaporetti rivestiti di pubblicità, pugni in un occhio sulla prospettiva delle architetture gotico-veneziane. E i linguaggi anglicizzanti e massificati, stupidi e stereotipi… Capitolo ristoranti: i proprietari pakistani ed egiziani si spacciano per veneziani e offrono del salmone nel fritto misto alla venexiana (!), mentre imperante è l’uso delle protesi comunicative a voce alta e con suonerie pazzesche in campo santa Maria Formosa, giusto per fare un esempio. Kitsch è anche non dare la precedenza nelle calli, fermarsi con un gruppo di 50 persone in una calle stretta un metro, dimenticare che in un ambito urbano così delicato come quello veneziano anche il semplice bastone da selfie può arrecare gravi danni alle pietre e agli arredi urbani. Per non parlare dei bimbi che giocano con le fionde luminose vendute dai bengalesi, o l’ignoranza assoluta della massa nel guardare opere d’arte imperiture. Intollerabile, poi, è la musica grunge o techno sparata nei campielli. Mi hanno poi oltremodo infastidito i colori della Vogalonga, elettrici e acrilici nel contesto del Canal Grande…

L’eccesso di kitsch è frutto di una cultura consumista che massifica i comportamenti e spegne il guizzo creativo che ognuno di noi possiede. Venezia e Roma debbono temere più quest’ondata che i bivacchi attorno alle fontane. Rifuggiamo il kitsch e apprezziamo l’arte. Reintroduciamo l’insegnamento obbligatorio dell’arte nelle scuole di ogni ordine e grado! La nostra vita sarà più vera e bella.

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