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Kherson, e poi?

di Michele Zanzucchi

- Fonte: Città Nuova

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

L’abbandono annunciato (ma non ancora reale) dell’avamposto russo nel sud dell’Ucraina muove le carte sul tavolo delle trattative. Prudenza d’obbligo

Dei volontari aiutano una persona anziana evacuata da Kherson al suo arrivo a Dzhankoi, in Crimea, giovedì 10 novembre 2022. Foto AP

Che qualcosa stesse succedendo a Kherson, la città al di là del Dnipro occupata dai russi nella prima fase della guerra, in febbraio-marzo, da un mese gli osservatori l’avevano visto. La città viene ora abbandonata dalle truppe di Mosca, dopo l’annuncio del ministro della difesa Shoigu. Resta qualche incertezza sulle modalità e sulla tempistica, ma la ritirata sembra ineluttabile.

Anche la città di Mykolaiv è stata evacuata dai russi, mentre in altri settori del Donbass gli ucraini sembrano avanzare, seppur a passo di lumaca. Zelensky e i comandi militari ucraini restano assai prudenti sull’evacuazione di Kherson, anche perché la ritirata, se ci sarà, sembra essere stata preparata con ogni precauzione, rendendo in ogni caso difficile per gli ucraini recuperare le terre perdute. I russi sperano così, ritirandosi sulla riva orientale del Dnipro, di riuscire a bloccare la controffensiva di Kiev che da due mesi avanza inesorabilmente.

Comunque, sul campo regna ancora una certa incertezza (mi si perdoni l’espressione cacofonica), ma gli ultimi segnali sembrano confermare la ritirata russa, che ha tutta l’aria di una ritirata strategica, per poter poi meglio colpire l’avversario. Molto dipenderà dai 300 mila coscritti degli ultimi due mesi, se cioè Mosca avrà la forza finanziaria, industriale e militare per armarli in modo adeguato e inserirli nella macchina bellica in modo organico. Cosa che non è assolutamente garantita, viste le difficoltà logistiche che l’esercito russo ha fin qui manifestato.

La giustificazione pubblica data dal ministro della Difesa e dai comandi russi per la ritirata è un’ammissione di debolezza: non si riesce a sostenere adeguatamente le truppe nel fronte sud dell’Ucraina, visto che la resistenza ucraina nel resto del fronte è tale che l’esercito russo non può sguarnire il lato est e nord del proprio schieramento spostando truppe a sud. A meno che non si tratti di un bluff per attaccare altrove, ma qui siamo nella fantasia militare.

Alcuni esperti di strategia fanno notare come l’avanzata russa dei primi mesi di guerra stia ritornando poco alla volta ai confini dei territori già occupati dai filorussi prima della campagna di febbraio, e sono forse quelli i veri limiti invalicabili per il Cremlino, con in più una parte della costa sul Mar Nero per “proteggere” la Crimea, considerata incedibile.

Vedremo come andrà nei prossimi mesi, soprattutto militarmente; nel giro di un mese o due si potrà capire come i due eserciti reagiranno all’inverno. Riuscirà cioè l’esercito ucraino, una volta che i terreni saranno solidificati dal gelo, a riconquistare ancora parte del terreno perduto nella prima fase della guerra, tornando alla situazione antecedente a febbraio? E riuscirà al contrario l’esercito russo a tenere sulla nuova frontiera fluviale del Dnipro?

Tutto ciò riguarda le strategie militari. Dal punto di vista diplomatico, è evidente come la Russia con questa ritirata strategica voglia spingere gli occidentali a convincere il presidente ucraino a cessare le ostilità, in qualche modo monetizzando qualcosa dalla guerra, anche se con risultati molto minori di quello che gli strateghi del Cremlino si aspettavano nelle prime settimane del conflitto ucraino-russo.

Qualche effetto le sanzioni occidentali contro Mosca stanno avendo, ma ancor più sembra pesare sul conflitto la forza silente cinese, che non vuole che la guerra continui ad libitum, anche perché l’economia di Pechino ha preso un duro colpo dalla pandemia e non vuole che la situazione peggiori ancor più a causa della guerra d’Ucraina, un Paese e una guerra così lontani dai suoi confini.

È nei fatti impensabile un maggior coinvolgimento cinese nel conflitto ucraino, se non con l’appoggio formale alla Russia di Putin finora assicurato; tanto più che la vera preoccupazione del governo cinese è il fronte taiwanese. Che potrebbe aprirsi nel giro di un anno o due.

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