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Kairos Palestina, un nuovo appello per la pace

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Presentato in Italia ad opera di “Pax Christi” l’appello promosso dall’iniziativa ecumenica dei cristiani palestinesi. Un documento di denuncia che invita alla resistenza nonviolenta e chiede il sostegno della comunità internazionale

Edifici distrutti nel quartiere Sheikh Radwan, Gaza City. Credit: EPA/MOHAMMED SABER/ANSA.

Il documento Kairos Palestina – Un momento di verità: la fede in tempo di genocidio rappresenta un aggiornamento del manifesto del 2009 con riferimento al contesto attuale. Redatto dall’Iniziativa Ecumenica Cristiano Palestinese, si pone come un grido profetico lanciato dal cuore della sofferenza in quella che viene definita “un’epoca di genocidio“. Non è solo una denuncia, ma vuole esprimere un messaggio di fede, speranza e amore che si configura come un “grido di speranza in assenza di speranza“, lanciato dal cuore del trauma collettivo per rivolgersi sia alla comunità palestinese, invitandola alla fermezza, sia al mondo intero, per scuoterne la coscienza.

Questo “momento di verità” impone, secondo gli autori, una presa di posizione nuova e decisa, fondata su principi teologici e morali irrinunciabili, con l’obiettivo di affermare la dignità umana e la giustizia di fronte a un’oppressione sistematica. Questa presa di posizione affonda le sue radici in un’analisi spietata della realtà sul campo.

Il documento fonda il suo appello su una descrizione dettagliata e intransigente della realtà vissuta dal popolo palestinese, che ne costituisce la motivazione teologica e politica. La situazione a Gaza è descritta come “genocidio“, con un bilancio di “centinaia di migliaia di morti e feriti” e una “distruzione totale” delle infrastrutture vitali. Il testo sottolinea come le azioni di Israele siano state definite genocidio da numerose organizzazioni internazionali e istituzioni giuridiche.

Questi eventi non vengono presentati come un incidente isolato, ma come la drammatica continuazione del progetto di pulizia etnica iniziato con la Nakba del 1948. L’analisi critica l’ideologia sionista come un “sistema di apartheid razzista e suprematista”, formalizzato legalmente dalla Legge sullo Stato-Nazione del 2018.

L’analisi del documento si estende oltre Gaza, delineando un’offensiva su più fronti: a Gerusalemme, attraverso attacchi ai luoghi sacri e politiche volte a “svuotare la Terra Santa dei suoi cristiani“; e in Cisgiordania, con le “incessanti aggressioni da parte dei coloni” protette dall’esercito. Il manifesto muove una dura accusa al mondo occidentale, colpevole di “ipocrisia” e “doppi standard”, un’ipocrisia che, secondo il testo, affonda le radici anche in precisi interessi economici, come il controllo sui giacimenti di gas naturale al largo della costa palestinese. Una critica altrettanto severa è rivolta a quelle Chiese mondiali che, con il loro silenzio, si rendono complici.

Dopo aver delineato il contesto di oppressione, il testo si rivolge alla comunità palestinese stessa, esortandola alla resilienza, all’unità e a una forma di resistenza radicata nella fedeIl concetto di “resistenza” viene declinato nel  senso della perseveranza sulla propria terra, nella preghiera, nella salvaguardia dei luoghi sacri e, soprattutto, nel mantenimento della speranza. Il documento sostiene esplicitamente forme di “resistenza creativa”, come i movimenti popolari non violenti, e indica nelle strategie di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) un esempio di strumento efficace radicato nella “logica dell’amore”.

All’interno di questo appello, vengono indirizzati messaggi specifici a segmenti chiave della società. Le donne palestinesi sono celebrate come la “colonna portante” della lotta, il cui contributo è indispensabile per una vera liberazione. I giovani sono invitati a trasformare la rabbia e il dolore in un “atto vivente di resistenza”, trovando nella speranza della risurrezione la forza per agire. La diaspora è esortata a usare la propria voce per influenzare l’opinione pubblica internazionale e a non abbandonare mai il diritto al ritorno. Questo appello interno è inseparabile da un altrettanto potente invito rivolto alla coscienza del mondo intero.

Una bandiera palestinese sventola tra le rovine degli edifici distrutti nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza City durante il cessate il fuoco. Quasi 1,9 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case dall’inizio del conflitto. Credit: EPA/MOHAMMED SABER/ANSA.

La terza parte del documento costituisce il fulcro del suo appello alla comunità globale, e in modo particolare alle Chiese cristiane, chiamandole a un profondo esame di coscienza e a un’azione decisa. Il testo sviluppa una critica teologica radicale al “sionismo cristiano”, definito una “distorsione teologica e una corruzione morale” che promuove l’immagine di un dio tribale e guerriero, estraneo al messaggio evangelico. 

Viene inoltre condannato l’uso strumentale dell’accusa di antisemitismo per silenziare le critiche legittime verso le politiche di Israele, operando una chiara distinzione tra l’opposizione a un sistema di apartheid e l’odio razziale. Il documento, quindi, non si limita alla denuncia, ma propone una strategia organica di pressione internazionale volta a tradurre la solidarietà in conseguenze tangibili. Esorta la comunità internazionale e le Chiese a fare pressione sui governi per isolare Israele attraverso sanzioni e boicottaggi, vietare l’esportazione di armi, perseguire i criminali di guerra e garantire un risarcimento al popolo palestineseInfine, si rinnova l’invito ai cristiani di tutto il mondo a sostenere la Chiesa locale visitando le “pietre vive” e testimoniando la realtà sul campo.

Nella sua conclusione, il documento eleva lo sguardo per delineare la visione di un futuro fondato sulla giustizia e radicato nella Risurrezione. Viene affermato con forza che nessuna soluzione politica potrà essere autentica senza prima smantellare le strutture del “colonialismo d’insediamento e il sistema di apartheid. Viene quindi respinta l’idea di uno stato palestinese “indebolito e condizionato”, privo di una reale sovranità.

La visione finale proposta rifiuta esplicitamente la logica di uno “Stato religioso”, che genera inevitabilmente esclusione e discriminazione. La speranza è invece riposta in un unico “Stato civile e democratico fondato su una cultura del pluralismo“, in cui sia garantita la piena uguaglianza per tutti i suoi abitanti, senza alcuna forma di supremazia. La sintesi si chiude con l’immagine profetica del Salmo 85, che racchiude l’aspirazione ultima del popolo palestinese: un futuro in cui “misericordia e verità si incontreranno, e la giustizia e la pace si baceranno”.

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