Jean-Claude Juncker tra passato e futuro

Alla scoperta del nuovo presidente della Commissione europea. I suoi punti forti, gli interrogativi che suscita, le sfide che dovrà affrontare con il nuovo Parlamento e le diverse anime dell'Europa
Jena-Claude Junker presidente Commissione europea

Il 15 luglio il neoeletto Parlamento europeo ha confermato la nomina di Juncker a presidente della Commissione europea, dopo la designazione da parte dei capi di stato e di governo dei 28 a fine giugno. La votazione, a scrutinio segreto, ha visto una confortevole maggioranza a favore dell’ex premier lussemburghese, 422 voti su un totale di 751 deputati (ne sarebbero bastati 376), frutto dell’accordo di grande coalizione tra popolari, socialisti-democratici e liberali. Hanno votato contro i britannici e gli ungheresi (già i loro primi ministri si erano opposti a Juncker in sede di Consiglio europeo), i socialisti spagnoli e una manciata di franchi tiratori.

Juncker è uno dei politici di maggiore esperienza a livello europeo. Ministro delle finanze a 35 anni, poi primo ministro per quasi di vent’anni del piccolo granducato lussemburghese; era già al governo, come sottosegretario, quando Matteo Renzi ed altri capi di governo attuali erano all’asilo. La sua lunga storia politica si presenta come una garanzia di maggiore indipendenza dell’esecutivo europeo rispetto ai governi nazionali, indipendenza che dovrebbe essere una delle caratteristiche principali dell’istituzione che presiederà. È infatti la Commissione l’organo che, nell’equilibrio dei poteri delineato dai trattati, deve fare emergere l’interesse generale attraverso ed al di là dei vari interessi particolari degli stati membri.

È in fondo soprattutto per questo motivo che David Cameron, il premier britannico, si era così ferocemente opposto alla sua nomina, oltre che per il fatto che la designazione di Juncker è stata una vittoria del Parlamento europeo, che ha in pratica imposto il “candidato di punta” del partito che ha vinto le elezioni europee agli stati membri. Poi Cameron ha argomentato la sua avversione a Jucker con il fatto che rappresenterebbe la “vecchia Europa”, quella che ha annaspato di fronte alla crisi economica e finanziaria e ha saputo solo in ritardo, e malamente, adottare misure per uscirne, con costi sociali elevatissimi. Anche perché Juncker era presidente dell’Eurogruppo proprio quando l’Ue adottava i vari pacchetti di misure anticrisi. È vero che Juncker è un politico di lungo corso e, dopo decenni al vertice della vita politica, “appare stanco”, come ha commentato un autorevole opinionista a Bruxelles, mentre per dirigere l’équipe dei 27 commissari, oltre a lui, sarà necessaria una notevole dose di energia.

In realtà Juncker è un politico assai meno vecchio, almeno sul piano delle idee, di quanto possa sembrare a prima vista: uomo di destra con una spiccata sensibilità sociale, nel suo discorso di investitura al Parlamento europeo ha annunciato, come prima misura da presidente, un pacchetto di misure per l’occupazione e la crescita da 300 miliardi di euro di investimenti supplementari, da trovarsi con fondi in parte pubblici e in parte privati. Il futuro presidente ha sottolineato che «il salvataggio dell’euro era necessario, ma ha fallito sul piano sociale. Non posso accettare che i lavoratori e i pensionati abbiano dovuto sopportare il peso delle riforme strutturali (per tenere i conti pubblici sotto controllo, ndr), mentre gli armatori e gli speculatori finanziari si arricchivano». 

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