Italia leader nella terapia genica

Questa tecnica di correzione dei difetti genetici è attualmente utilizzata per malattie rare relative a immunodeficienze congenite, difetti dei globuli rossi e malattie metaboliche. I ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano stanno pubblicando i risultati del primo lavoro al mondo sulla Mucopolisaccaridosi di tipo I. Questa tecnologia in futuro potrebbe essere applicata alla cura di altre malattie, come Alzheimer e cancro. Intervista alla dottoressa Maria Ester Bernardo, che ha guidato la ricerca.
Maria Ester Bernardo

Che la tanto bistrattata ricerca italiana sia in realtà un’eccellenza, non è cosa nuova; e ne è una dimostrazione la ricerca sulla terapia genica, una delle più promettenti tra quelle oggi studiate per diverse patologie. Per i risultati ottenuti in particolare nella cura della Mucopolisaccaridosi di tipo I – una malattia che, a causa di un difetto genetico, causa un accumulo di due sostanze tossiche nell’organismo – si è prossimi alla pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica di un lavoro unico a livello mondiale: ne parliamo con la dottoressa Maria Ester Bernardo, che presso l’Istituto San Raffaele-Telethon a Milano ha condotto questo progetto.

Dottoressa Bernardo, che cos’è la terapia genica e per che cosa viene utilizzata?
La terapia genica è in uso da circa vent’anni; e consiste nel prelevare dal paziente le cellule staminali emopoietiche del midollo osseo, ossia le “progenitrici” di tutte le altre cellule del sangue, per “correggere” il difetto genetico che causa una certa malattia – noi le manipoliamo in laboratorio tramite dei vettori virali, usati come “cavallo di Troia” per trasportare la copia corretta del gene – e reinfonderle poi nel paziente. Queste cellule “corrette” andranno poi a loro volta a generare altre cellule senza il difetto genetico. La terapia genica è attualmente utilizzata per sei malattie genetiche rare, relative alle immunodeficienze congenite, ai difetti dei globuli rossi e malattie metaboliche.

È quindi una terapia di nicchia che, pur importantissima per le persone colpite da queste malattie, non va però a toccare la popolazione al largo, o può avere altre implicazioni?
In realtà già vediamo che ne ha. Una volta capito come funzionano questi vettori virali e come possono intervenire a livello genetico, li possiamo potenzialmente usare anche per malattie molto più frequenti: già ci sono studi promettenti in questo senso per quanto riguarda l’Alzheimer e il cancro, in particolare alcune forme di leucemia – cito ad esempio la terapia CAR-T, tra quelle che hanno dato i risultati più significativi. Quindi è ragionevole credere che il suo utilizzo in futuro non sarà limitato solo a sei malattie rare.

Venendo al lavoro sulla Mucopolisaccaridosi di tipo I che sta per essere pubblicato, come si è svolto e che risultati ha ottenuto?
Il nostro è stato il primo – e attualmente l’unico – lavoro al mondo di terapia genica sull’uomo per la Mucopolisaccaridosi di tipo I; e ha coinvolto otto piccoli pazienti – è infatti essenziale che la malattia venga curata presto – tutti dall’estero, dalla Russia alla Guyana francese. È partito a maggio 2018, e a due anni da allora i risultati sono molto promettenti: non solo nei pazienti è stato corretto il difetto genetico che impediva la produzione dell’enzima destinato a degradare queste sostanze di scarto, ma è stato buono anche l’andamento clinico – ossia non si sono più visti, a livello fisico, i sintomi tipici della malattia: problemi ossei, cardiaci, cognitivi, neurologici.

In più, i risultati appaiono migliori rispetto a quelli ottenuti con il trapianto di midollo, l’altra terapia sinora disponibile: il trapianto infatti rallenta, ma non blocca del tutto la progressione della malattia. Con la terapia genica è invece possibile “istruire” le cellule a produrre più enzima del necessario, così da “ripulire” il corpo in maniera più efficace. Inoltre, per quanto anche la terapia genica preveda di fare quello che materialmente è come un trapianto di midollo – ossia la chemioterapia per “eliminare” le vecchie cellule con il difetto genetico, e la loro sostituzione con quelle nuove – è meno pericoloso: stiamo infatti parlando non di cellule di un’altra persona, il donatore, ma del paziente stesso. Pertanto la tossicità e i rischi di complicazioni sono molto più bassi. Naturalmente ora questi pazienti dovranno essere monitorati, per vedere gli sviluppi sul lungo termine; ma ci sono tutte le premesse perché siano buoni, e quindi per andare avanti.

Quali saranno quindi i prossimi passi?
Ora siamo nell’ultima fase prima della pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica, di cui al momento non posso fare il nome: stiamo rispondendo alle osservazioni dei revisori, e l’auspicio è che possa essere pubblicato nei prossimi mesi. Poi la compagnia di biotecnologie che ha acquistato la licenza per questa terapia dovrà portare avanti la fase di registrazione, produzione e immissione sul mercato, con la procedura di autorizzazione presso l’Ema in Europa e la Fda negli Stati Uniti: un passaggio necessario, perché un centro di ricerca non ha ovviamente le risorse né economiche né logistiche per farlo. L’auspicio è appunto che questo processo sfoci nell’immissione sul mercato, e soprattutto nel recepimento della terapia da parte dei sistemi sanitari nazionali che se ne dovranno poi fare carico. Va poi detto che ricerche analoghe sono in corso anche per altre patologie della stessa “famiglia”, come la Mucopolisaccaridosi di tipo III, per cui stiamo parlando di un campo della medicina in fase di sviluppo.

Possiamo quindi dire che un bambino che oggi nasce con la Mucopolisaccaridosi di tipo I – si stima uno ogni 100 mila circa – può guardare alla vita con una nuova speranza?
Sì, sicuramente questa terapia costituisce una svolta. Che però, così come per altre malattie, deve accompagnarsi all’identificazione precoce del problema: per questo sono fondamentali i programmi di screening neonatale [i test che permettono di identificare una serie di malattie genetiche su bimbi appena nati tramite il semplice prelievo di una goccia di sangue, ndr], e il loro allargamento ad una fascia sempre più ampia di patologie.

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