Italia fuori dai mondiali

L’Italia è per la seconda volta consecutiva fuori dai Mondiali di calcio: fatale già la prima delle due partite necessarie per la qualificazione, contro la Macedonia, che si impone per 1-0.

Cronaca di quello che, seppure solo sportivamente, è un vero disastro: l’Italia è per la seconda volta consecutiva fuori dai Mondiali di calcio. Fatale già la prima delle due partite necessarie per la qualificazione, contro la Macedonia, che si impone al 92° per 1-0 allo stadio Barbera di Palermo.

Desta davvero una paradossale impressione pensare che il prossimo novembre, in Qatar, la principale rassegna internazionale FIFA per nazionali di calcio farà dunque a meno di quella compagine che, solo lo scorso luglio, si laureava con merito campione d’Europa in Inghilterra nel “tempio” del calcio di Wembley.

Cronaca di un disastro sportivo

Il punto è che non si tratta di un’epocale disfatta per il nostro calcio tanto per un’esclusione che, in senso assoluto, poteva anche starci ad esempio nella seconda gara che ci avrebbe visti di fronte al forte Portogallo di Cristiano Ronaldo; ma lo è perché arrivata contro una nazionale, la Macedonia del nord, che, non si presentava imbattibile. Ed è arrivata dopo una gara condotta con un possesso palla del 66% tanto prevedibile quanto sterile, dato che l’Italia è andata al tiro ben 32 volte centrando la porta solo in 5 di queste, senza impensierire più di tanto il portiere avversario, Dimitrievski. Nemmeno quando quest’ultimo, dopo mezz’ora, avrebbe anche regalato a porta vuota il pallone giusto a Berardi, se solo il nostro non avesse ricambiato il favore appoggiando debolmente il pallone sull’estremo difensore anziché insaccare. Per il resto agli avversari, che avevano tirato una sola volta in porta in tutto l’arco dell’incontro, basta nei minuti di recupero un tiro di rara precisione da oltre 25 metri di Trajkovski, che vale una storica doccia gelata per l’Italia. Incredibile ma vero.

Come ci siamo ridotti agli spareggi?

L’amarissima verità è che il calcio non è certo materia nuova a fasi del genere: non vince sempre il più forte, il pallone è rotondo e l’esito non è mai scontato, sempre che non si schierino ragazzini contro maestri. È il fascino storico, ma anche il crudele potenziale di questo sport dalle infinite variabili. Resta altresì la certezza della modestia della nostra fase offensiva: non riuscire ad andare oltre il pareggio con squadre come la Bulgaria o la Svizzera prima, piazzandosi solo secondi in un girone assolutamente alla nostra portata, quindi perdere con la Macedonia, significa di fatto non meritare di giocarsi i Mondiali. Imprecare sui due rigori sbagliati dagli undici metri da Jorginho proprio nelle due gare pareggiate nel girone contro gli svizzeri sarebbe un semplicistico e maldestro tentativo di nascondere i nostri limiti: ai rigori abbiamo vinto del resto l’Europeo, sfangandola in semifinale contro una Spagna che ci aveva annichilito a suon di passaggi e poi battendo l’Inghilterra in finale dopo una gara con poche occasioni. I rigori danno, i rigori tolgono… e lì sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli a nome di tutti prendendosi più responsabilità degli altri.

Ma allora, di chi è la “colpa”?

È vezzo molto italiano cercare spesso un capro espiatorio che paghi per tutti nel tentativo di autogiustificare limiti trasversali su più livelli: l’arbitro, il meteo, l’allenatore, il complotto astrale, la gastroenterite, il rigore, ma anche il complotto ufo, per qualcuno… Invece, per chi si addentra di più nell’analisi meno impulsivamente e con lucidità oltre la tifoseria umorale, come per tutti gli ambiti, le ragioni di questo disastro azzurro sono complesse e variegate. In primis, segniamo poco e nulla: per vedere un gol, negli ultimi mesi, abbiamo avuto bisogno di tirare anche 15 volte…  Significa che abbiamo urgente bisogno di giovani di talento in attacco che facciano decisamente meglio di Immobile, Belotti, Insigne ed altri buoni giocatori che, nonostante buone performance del calcio italiano, non sono mai stai in grado di fare la differenza sul piano internazionale. Un gap fondamentale perché, tattiche e motivazioni a parte, in questo gioco conta “buttarla dentro” una volta in più dell’avversario e noi ormai da mesi “non segniamo nemmeno con il lapis”, si direbbe a Coverciano, a Firenze, sede storica del ritiro azzurro.

Ed ora?

Certamente qualcuno tra gli azzurri aveva perso fame e umiltà mostrate in Inghilterra: virtù da recuperare subito. Quindi, sul piano tecnico, se il centrocampo appare zeppo di ottimi palleggiatori, la difesa offre discrete certezze anche per il post “Bonucci-Chiellini” e vantiamo ottimi portieri, non abbiamo tuttavia terzini di fascia di grande spinta, Spinazzola a parte e, nel calcio di oggi, questo fa la differenza. Il compitino non basta più sul piano internazionale se, come si insegnava di più un tempo, non si abituano i nostri bimbi a saltare l’uomo e dare sfogo alla creatività, prendendosi rischi e tentando la giocata imprevedibile, in termini di dribbling o assist. Questo era Baggio, questo era Del Piero, questo era Totti, ma lo erano già Conti e Rivera, Mazzola Meazza, tanto per non scontentare i decenni delle generazioni. Sarebbe fuorviante e ingenuo dunque pensare che la responsabilità sia di un allenatore, Roberto Mancini, che ha portato l’Italia sul tetto d’Europa solo pochi mesi fa dopo anni di clamorosi fallimenti dei precedenti tecnici: nel 2010 e nel 2014 fummo eliminati ai gironi ai mondiali, mentre nel 2018 non riuscimmo neanche a qualificarsi.

Il problema è ormai annoso e parte dai club, che concedono ben poco tempo in capo ai giovani azzurri e ancora meno ai ritiri della nazionale che servirebbero a provare schemi e cementificare il gruppo. Quale nazionale vorrebbe, allora, il calcio italiano? La risposta, in questi giorni, dovrebbe arrivare da scelte radicali a partire dai vertici FIGC e dai club, altrimenti qualcuno darà semplicisticamente ancora la colpa al rigore, all’allenatore o agli astri malefici…

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