Italia campione d’Europa

Trionfo azzurro a Wembley con l'Inghilterra battuta ai rigori. Siamo campioni d'Europa per la seconda volta
Campione

Hanno cantato per giorni in ogni dove al grido di Football is coming home, “il calcio sta tornando a casa”, in Inghilterra. Il premier Johnson stesso aveva promesso un giorno di festa nazionale per la vittoria, con tanto di post social e annunci che davano per scontata una storia, per loro, già scritta. Dicevano che avrebbero fatto dell’Italia un boccone di pasta asciutta, o meglio, un “boccone di mangiaspaghetti”. Ecco, non sappiamo se il calcio sia tornato esattamente a casa, ma di certo la storia reale è andata diversamente: campione d’Europa 2020 è l’Italia di Roberto Mancini. E di certo, come a fine gara dichiarerà il vicecapitano Bonucci, ci sarà bisogno per gli inglesi di mangiare qualche piatto di pasta asciutta ancora. L’Inghilterra di Gareth Southgate è battuta sul prato di Wembley, tempio sacro del calcio britannico, ai calci di rigore, sotto una curva che non ha mai fatto mancare fischi e sberleffi neanche durante l’inno nazionale italiano.

Però sul campo contano poco le provocazioni: sul campo, conta il gruppo migliore, come quello azzurro, capace di reagire e riacciuffare una gara che nell’infernale bolgia inglese era iniziata in salita dopo appena due minuti, quando la nostra difesa commetteva forse l’unico vero svarione su azione di tutta la competizione, consentendo a Shaw di calciare indisturbato e trafiggere Donnarumma su un traversone da destra di Trippier. Se alla vigilia era difficile, con 58 mila inglesi sugli spalti a soffocare il tifo dei soli 6500 italiani cui era stato permesso l’ingresso, un esordio simile rendeva la gara oltremodo dura. Un gol a freddo del genere, nella tana infuocata di Wembley, avrebbe forse fiaccato in molti: «Non noi però, che siamo quelli che non mollano mai, siamo l’Italia», ricorderà a fine gara Gigio Donnarumma, portierone azzurro che ha raccolto come meglio non poteva la pesantissima eredità tra i pali della nazionale di Gigi Buffon.

Certo, per riprendersi dallo choc iniziale servono ai nostri almeno 30 minuti buoni, dove l’Inghilterra di preoccupa solo di mantenere il risultato, ma il nostro attacco non punge mai. Solo Chiesa prova a suonare la carica con un assolo che si conclude con una rasoiata che fa la barba al palo, ma l’intervallo arriva come niente, tra i festeggiamenti precoci degli inglesi. Al ritorno dall’intervallo, infatti, lo spirito dei nostri è più sicuro, accompagnato anche da un cambio tattico che in effetti sposta gli equilibri in fase offensiva: mister Mancini sostituisce un evanescente Immobile con Berardi, adottando una strategia “in salsa spagnola”, senza centravanti di ruolo. Ci prova ancora Chiesa, che dopo una serpentina si vede negare la gioia dal portiere Pickford in parata a terra, ma dopo pochi minuti l’urlo dei nostri strozzato in gola può esplodere: sugli sviluppi di un angolo, il pallone arriva a Verratti che spizzica di testa costringendo l’estremo difensore inglese a un mezzo miracolo con l’aiuto del palo, ma Bonucci centra un “blitz” decisivo ribadendo in rete per un 1-1 che annichilisce uno stadio inizialmente imbiancato pressoché del tutto a festa inglese. Pochi minuti dopo, Berardi tenta addirittura l’eurogol in spaccata, ma il pallone finisce di poco alta.

Nel finale, a farla da padrone sono stanchezza e timore: l’Inghilterra tenta solo qualche colpo di testa su calcio da fermo, l’Italia prova a tenere palla, ma fino alla lotteria dei rigori non si registrano sussulti degni di nota. Dagli undici metri, per i nostri sbagliano Belotti e Jorginho (notizia da archivi); per gli inglesi Rashford, sul palo, Sancho e Saka, ipnotizzati dal nostro grande Donnarumma, premiato a fine partita come miglior giocatore dell’Europeo. A pesare sulle gambe di tuti i giocatori, forse anche il fascino particolare della sfida tra due Paesi che probabilmente hanno inventato questo meraviglioso sport, vissuto come pochi altri al mondo in maniera così passionale e viscerale. Una storia tra due tradizioni a confronto: gli inglesi giocavano una finale nel loro stadio 55 anni dopo il trionfo mondiale del 1966; gli italiani si impongono 53 anni dopo l’unico successo europeo del ’68.

Era il nono confronto in gare ufficiali: l’ago della bilancia pendeva nettamente a favore degli azzurri, che avevano perso solo una volta, nel lontano 1977. Forse, questo, gli inglesi avrebbero dovuto ricordarlo più degli sfottò. Ma siamo certi lo ricorderanno meglio ora che la festa, per loro, è annullata. Il penultimo confronto narra di quel quarto di finale dei Campionati europei 2012, quando ad approdare in semifinale fu l’Italia di Cesare Prandelli dopo lo 0-0 dei 120 minuti di gioco e il mitico “cucchiaio” di Andrea Pirlo nella lotteria vincente dei calci di rigore. L’ultimo precedente era invece nei gironi del Mondiale 2014, con la vittoria azzurra per 2-1 grazie alle reti di Marchisio e Balotelli. Certo, in finale le statistiche contano poco e le due Nazionali sono totalmente cambiate rispetto al passato recente citato.

Eppure, a scrivere la storia e tingere il cielo di Wembley dei propri colori è ancora la nostra Italia: grazie in particolare alle manone di Donnarumma e a una coppia di centrali difensivi che vede nei veterani Bonucci e Chiellini un blocco praticamente inossidabile di solidità e personalità decisiva; grazia al “tir’a ggiro” di Insigne, alle sgroppate di Spinazzola che ci ha rimesso un tendine d’achille, alla doppietta di Locatelli ritrovatosi titolari nelle prime gare, alle geometrie di un Jorginho in versione Pirlo. Ma grazie soprattutto all’encomiabile spirito di un gruppo affiatato e dedito al sacrificio, che ha regalato un sogno sportivo difficilmente pronosticabile alla vigilia. Grazie ragazzi: nell’Europa unita per lo meno del calcio, dove geograficamente l’Inghilterra non poteva autoescludersi al grido Brexit, andando addirittura vicina al colpo grosso, ci avete regalato un sogno difficilmente pronosticabile. Ma che ricorda ancora a tutti noi come, dove prime donne e tecnica possono mancare, spirito di gruppo, sacrificio e determinazione possono rendere le favole una realtà.

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