Italia 2022, non si bara sul Quirinale

Qurinale, il colle più alto. La scelta per il presidente della Repubblica non può essere uno stratagemma ideato in segrete stanze. Nella vicenda di Sergio Mattarella l’esempio di un’identità che affonda in solide radici capaci di affrontare le contraddizioni inevitabili della politica
Quirinale Foto Paolo Giandotti/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse02-06-2019 Roma, ItaliaPoliticaIl Presidente Sergio Mattarella tra i visitatori dei Giardini del Quirinale in occasione del 2 giugno

Quirinale. I grandi elettori voteranno il nuovo presidente della Repubblica a partire dal 24 gennaio 2022. Ridurre quest’appuntamento ad una partita a poker, con l’asso calato dal giocatore più furbo al momento migliore, sarebbe un colpo ferale per un Paese dove l’astensionismo raggiunge livelli preoccupanti.

La conferma, cioè, della politica come eterodiretta da interessi prevalenti, estranei ad un vero confronto popolare e democratico dove l’appartenenza ad un’identità non è un ostacolo ma il presupposto necessario per rappresentare l’unità di una nazione a partire dalle sue fondamenta repubblicane. All’indomani della sua elezione Sergio Mattarella si recò alle Fosse Ardeatine, il luogo di un’orribile mattanza (335 morti), perpetrata dai nazifascisti nel lontano 1944, che suscita ancora divisioni circa le cause che l’hanno originata.

Fare politica vuol dire abitare la contraddizione e lo deve sapere bene chi è chiamato a salire il colle del Quirinale per esercitare un servizio che non è di semplice rappresentanza o cerimonia. Il presidente, tra l’altro, «ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere». È chiamato, cioè, a compiere l’atto più estremo per un Paese.

Siamo, dunque, davanti ad una vera e propria investitura che rimanda alle grandi questioni sul potere, il suo fondamento e il limite che deve osservare colui che è chiamato ad esercitarlo.

Anche per Mattarella, nonostante il plauso generale che spingerebbe ad una sua rielezione, arriverà il momento di un bilancio storico del settennato segnato dall’ultima sua scelta determinante del governo di larghe intese affidato a Mario Draghi. Un’unità forzata dallo stato di pandemia per un Paese che resta fortemente polarizzato ma che deve tornare ad un sano confronto tra diverse visioni politiche senza mettere a repentaglio la sua tenuta.

Il profilo di un presidente in grado di accompagnare questo decisivo passaggio non si può inventare con qualche mossa tattica. Lo dimostra la vicenda umana di Sergio Mattarella segnata dal terribile lutto dell’omicidio  del fratello Piersanti la mattina del 6 gennaio del 1980, giorno dell’Epifania, mentre stava andando a messa.

“Da solo contro la mafia” è il sottotitolo dell’intenso libro scritto da Giovanni Grasso, attuale direttore ufficio stampa del Quirinale, su quel presidente della Regione Sicilia che si oppose ad un coacervo di poteri deviati, non solo mafiosi, in forza di una forte identità cattolico democratica che l’autore ricostruisce negli anni decisivi della formazione e di un impegno appassionato e competente.

Se dal punto di vista giudiziario il suo assassinio resta «uno dei grandi misteri irrisolti di cui è tragicamente disseminata la storia dell’Italia repubblicana», è importante anche tener conto della rimozione, avvenuta per lungo tempo, della sua testimonianza perché segnata dall’essere un “democristiano”. Tutto ciò si spiega, secondo Grasso, con la rinuncia a «comprendere i motivi per i quali dalla stessa e unica matrice religiosa e culturale – il cattolicesimo democratico – sarebbero nate all’ombra dello stesso partito piante così diverse, quella dei complici e quella delle vittime, quella dei rinnovatori e quella dei corrotti – corruttori».

Una rinuncia a misurarsi con la complessità delle vicende reali che ha portato «per molti anni, ad esempio, i giovani cattolici interessati alla vita politica, al di là dei documenti teorici della dottrina sociale della Chiesa, a non avere una storia di cui sentirsi pienamente eredi o partecipi».

Eppure basterebbe poco per prendere sul serio questo invito partendo, oggi che si parla genericamente di una presidente donna, del perché, in passato, non sia stata candidata a tale carica una persona come Tina Anselmi, dalle stesse radici culturali di Mattarella, che difese la Repubblica dall’azione eversiva di interi settori dello Stato contaminati dalla massoneria cosiddetta deviata.

In questo settennato Mattarella ha offerto una visione di società a partire dalle tante persone che ha premiato in vario modo per le scelte di vita solidali. Il profilo di una comunità reale e concreta che il nuovo presidente deve essere degno di rappresentare.

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