Istat, intervista al presidente Blangiardo su denatalità ed emergenze sociali

I nuovi nati in Italia diminuiscono: servono interventi urgenti per una popolazione, come quella italiana, sempre più anziana. Ne abbiamo parlato con il presidente dell'Istat Gian Carlo Blangiardo.
Gian Carlo Blangiardo presidente dell'Istat, foto di Sara Fornaro
Gian Carlo Blangiardo presidente dell'Istat, foto di Sara Fornaro

“Noi dovremmo passare da una logica che dice: “Volete i figli? Sono fatti vostri. Li fate e li mantenete”, ad una logica che dica: “I vostri figli sono anche fatti nostri, sono anche una ricchezza nostra, che magari non li abbiamo..“. Parola di Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, l’Istituto di statistica che proprio oggi  20 marzo ha presentato il rapporto sulla Dinamica demografica nel 2022.

Alla fine dello scorso anno nel nostro Paese i residenti erano diminuiti di 179mila unità rispetto al mese di gennaio, nonostante il positivo contributo del saldo migratorio con l’estero. Al 31 dicembre scorso, quindi, gli abitanti della Penisola erano 58.850.717: un numero che tiene conto anche delle persone arrivate nel nostro Paese dall’Ucraina, fuggendo dalla guerra.

Continua anche il calo dei nuovi nati: nel 2022 ci sono state infatti 392.598 nascite, con una diminuzione dell’1,9 per cento rispetto al 2021, anche se c’è stato qualche miglioramento al Sud Italia.

Ancora molto alto il numero dei decessi, legato sia agli strascichi della pandemia, sia all’ondata di gran caldo registrata l’anno scorso. Nel 2022 ci sono stati infatti 713.499 decessi, circa 12mila in più rispetto 2021, ma 27mila in meno rispetto al 2020, anno di massima mortalità dovuta al Covid 19. Secondo i ricercatori dell’Istat, un terzo dell’eccesso di mortalità del 2022 rispetto al valore atteso, globalmente pari al +8,1 per cento, si è concentrata nei mesi di luglio e agosto, quando si è registrato un numero di decessi superiore del 16 per cento.  In questa situazione la denatalità diventa un problema sempre più grave per l’Italia, che si riconferma tra i Paesi più anziani del mondo per età media della popolazione.

Come invertire questa tendenza? Ne abbiamo parlato con il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, a margine dell’assemblea del Forum nazionale delle associazioni familiari.

Presidente Blangiardo, l’Istat testimonia l’elevata denatalità in Italia. Quali sono le possibilità per invertire questa tendenza?
La risposta ovviamente non è facile: diciamo che, sapendo quali sono le cause della denatalità, basterebbe eliminare i vincoli, i condizionamenti che determinano la rinuncia o semplicemente il rinvio, che spesso però diventa rinuncia, ad essere genitori o ad avere più figli. C’è un aspetto legato all’economia: costa fare figli. Far crescere un bambino oggi in un Paese come l’Italia, ma non solo naturalmente, comporta per le famiglie un grosso sforzo di natura economica e rappresenta un condizionamento importante nella vita della coppia, in particolare della donna: soprattutto di una donna che ha investito in formazione, che ha studiato e che vorrebbe in qualche modo avere un ritorno in termini di carriera e di reddito e vorrebbe anche gestire la sua maternità. C’è anche un discorso di cura della prima infanzia e c’è un discorso di cultura. Chi fa lo sforzo, eroicamente qualche volta, di essere genitore, dovrebbe avere da parte della società una sorta di gratificazione. Dovrebbe esserci una cultura del “quanto siete bravi”. Noi dovremmo passare da una logica che è sempre stata ricorrente in questi anni che dice: “Volete i figli? Sono fatti vostri. Li fate e li mantenete”, ad una logica che dica: “I vostri figli sono anche fatti nostri, sono anche una ricchezza nostra, che magari non li abbiamo, perché sono quelli che pagheranno le nostre pensioni da grandi, sono quelli che terranno in piedi questo Paese e daranno continuità alla società nella quale siamo inseriti”. Ecco, se noi riuscissimo a realizzare questo salto di carattere culturale probabilmente potremmo dare una mano a rendere più facile queste inversioni di tendenza che tutti auspichiamo.

Insieme al Forum delle Famiglie, lei ha proposto l’obiettivo dei 500 mila nuovi nati entro 10 anni. Considerando che siamo arrivati sotto i 400 mila, che era una soglia psicologica di resistenza della famiglia, quali sarebbero secondo lei gli interventi urgenti per centrare questo obiettivo?
Bisogna agire su più fronti. Penso che si debba cercare di continuare sul piano economico, cercando di ammortizzare il più possibile gli aspetti relativi al costo dei figli; e poi agire anche sul piano normativo, d’accordo con i sindacati e con le imprese, in modo da creare i necessari elementi soprattutto di flessibilità, come ad esempio la banca del tempo nelle imprese. Gli italiani hanno dimostrato di avere sufficiente fantasia nella loro storia e possono riuscire a immaginare gli strumenti che consentano di rendere compatibile la genitorialità e il lavoro, naturalmente coinvolgendo anche gli uomini, perché non è detto che sia solo una questione di donne. Bisogna far maturare anche nelle nuove generazioni la partecipazione, la condivisione di quelli che sono gli obblighi o gli impegni dell’essere genitori. Ecco, secondo me questi provvedimenti si possono fare mettendo insieme una utile triangolazione tra lo Stato, che indubbiamente deve esserci ma non può fare tutto da solo, le amministrazioni locali, il privato sociale e le imprese. Se riuscissimo a far sì che tutti quanti dicano: “abbiamo un obiettivo”, ai 500.000 nuovi nati si può arrivare.

L’Istat è l’istituto che accompagna la vita degli italiani. Qual è secondo lei l’emergenza più grave? I giovani, gli anziani…?
Di emergenze ce ne sono tante. Oltre a quella legata al cambiamento demografico, quindi ai cambiamenti di struttura della popolazione, all’invecchiamento della popolazione, a tutti gli aspetti legati al welfare che hanno a che fare con l’invecchiamento, c’è mancata valorizzazione delle forze giovani: cioè le migrazioni dei giovani che hanno fatto un bel percorso di formazione e che vanno a lavorare all’estero, spesso a causa della concorrenza, dopo che noi abbiamo in qualche modo pagato la loro formazione all’università o addirittura ai master. Bisogna dare opportunità ai giovani e dare valorizzazione ai diversamente giovani: credo che siano due elementi importanti in questa società che sta beneficiando dall’allungamento della vita e del miglioramento della qualità della vita e della salute. Dobbiamo valorizzare queste due componenti.

Gli anziani sono la fascia più corposa della popolazione, però sono anche quelli meno curati dallo Stato: hanno meno assistenza, hanno maggiori difficoltà… Se potesse decidere che cosa chiederebbe per loro?
La nostra sanità qualche volta ha delle pecche, però se andiamo a confrontarci con altri non è che siamo messi male da quel punto di vista e tutto ovviamente si può migliorare. Dobbiamo cercare di prestare più attenzione al mondo degli anziani rispetto ai loro problemi, alla loro qualità della vita. Qualche volta quando abbiamo degli obiettivi, ad esempio la digitalizzazione in una società che invecchia, questa va fatta anche con attenzione alla formazione e alla capacità ricettiva della componente non più giovane. Dobbiamo avere consapevolezza che ci muoviamo e prendiamo anche delle decisioni all’interno di una società che ha delle componenti più fragili, anche se – come ho già detto – spesso ancora molto valorizzabili.

Sull’argomento leggi anche:
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