Israele: proteste contro la riforma della Corte Suprema

Centinaia di migliaia di cittadini considerano il progetto di legge pericoloso per la stessa democrazia, e manifestano ogni settimana in tutto il Paese. Ma il governo, insediato a fine dicembre, intende approvare la riforma della Corte Suprema in tempi molto rapidi.
Benjamin Netanyahu (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

La settimana scorsa, dal 9 all’11 marzo, il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu è stato a Roma per incontrare la premier Giorgia Meloni. Si sa che hanno parlato di forniture di gas naturale e di tecnologie per dissalare l’acqua marina, settore in cui Israele è da decenni all’avanguardia. Temi ai quali l’Italia è molto interessata. Hanno certamente parlato anche di altro, soprattutto a livello politico: prospettive di partnership, possibili affinità elettive.

Ne è convinta Fiamma Nirenstein, nota giornalista e scrittrice italiana e israeliana, che non fa mistero di una sua affinità elettiva per la linea politica del premier israeliano. Ha scritto in questi giorni sul suo blog: «Parlando della collaborazione energetica e contro la siccità e delle molte altre possibilità (come ha detto Meloni) che si aprono in un rapporto ravvicinato fra i due Paesi, è ritornata sempre la parola Europa. È un segnale non solo pragmatico e di business quando Bibi [Netanyahu] annuncia che Israele sceglie l’Italia come strada maestra dell’esportazione del suo gas, la questione energetica è ormai cruciale da quando la Russia è una potenza avversa, il progetto EastMed può spostare dinamiche che darebbero all’Italia un ruolo fondamentale dell’approvvigionamento europeo».

Temi sul tappeto e progetti politici a parte, questo viaggio a Roma del leader ebraico è stato piuttosto avventuroso, letteralmente: ha fatto fatica a raggiungere l’aeroporto di Tel Aviv a causa delle proteste in corso, e l’aeroporto stesso era assediato dai dimostranti.

Pare che circa 150 tra piloti e personale di volo della compagnia di bandiera El Al si siano rifiutati di assicurare il volo di Netanyahu a Roma. Si dice che condividano divergenze con la linea del governo perfino riservisti dell’esercito e membri del Mossad. In Italia, la traduttrice contattata dall’Ambasciata si è rifiutata di accompagnare il premier israeliano al Tempio maggiore di Roma, dichiarando: «Non condivido le idee politiche di Netanyahu e le ritengo altamente pericolose riguardo al benessere e alla salvaguardia della democrazia nello stato d’Israele».

Durante la giornata di sabato 11 marzo i cortei di protesta hanno radunato in Israele, a quanto pare, almeno mezzo milione di persone: 200mila solo a Tel Aviv e 50mila ad Haifa, addirittura 8mila a Beersheva, roccaforte del Likud, il partito di Netanyahu. Il premier israeliano è tornato a Tel Aviv nel cuore della notte tra sabato e domenica, probabilmente per evitare di incappare nella manifestazione. Non sembra che ci sia mai stata in Israele una mobilitazione di questa portata: mezzo milione di persone che protestano in un Paese con meno di 10 milioni di cittadini, bambini compresi.

Cosa c’è dietro a queste proteste contro un governo insediato da meno di 3 mesi, espressione di una coalizione di maggioranza (destra, destra-destra e ultraortodossi) che ha ottenuto alla Knesset, il Parlamento unicamerale israeliano, 64 seggi su 120 nelle ultime elezioni di novembre 2022?

C’è soprattutto l’annuncio di una riforma della Corte Suprema, il massimo organo della Magistratura, qualcosa di analogo (ma solo analogo) alla Corte Costituzionale in Italia. Riforma che il governo ha posto come priorità dopo i veti incassati appena insediato. Il disegno di legge prevede, in sintesi, una quota maggiore di membri designati dal governo nella commissione che nomina i giudici della Corte Suprema; la cancellazione della “clausola di ragionevolezza” (un analogo dell’incostituzionalità) che attualmente conferisce ai giudici il potere di veto sulle leggi proposte dall’Esecutivo; la concessione al Parlamento, con voto a maggioranza semplice, del potere di bloccare le sentenze della Corte Suprema.

Quest’ultimo punto potrebbe effettivamente rivelarsi molto pericoloso, a detta di non pochi esperti di diritto costituzionale: nel sistema istituzionale israeliano accade spesso che la coalizione di maggioranza sia a sua volta controllata o comunque molto condizionata da partiti minori, come avviene anche nell’attuale maggioranza, la più a destra della storia del Paese dalla sua fondazione nel 1948.

Va anche detto, però, che qualcosa da correggere nei poteri che la Corte Suprema nel tempo si è assunta, o attribuita, forse, anzi probabilmente, c’è davvero. Ma la retorica della contrapposizione politica fra destre e sinistre (anzi centro-sinistre) non concede spazi ad un dialogo costruttivo.

Benjamin Kerstein, noto giornalista di orientamento differente da quello della Nirenstein, in un articolo su jns.org, riportato su israele.net, scrive: «Il presidente [di Israele] Isaac Herzog ha esortato entrambe le parti a negoziare un compromesso. Questa sarebbe senza dubbio la strada giusta da prendere, ma nessuna delle due parti è granché incentivata ad imboccarla. La coalizione di governo ha i voti per approvare tutte le riforme che vuole. L’opposizione è determinata a usare ogni forma di protesta possibile come ultima ridotta nella difesa della democrazia».

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