Israele diventa “Stato-Nazione del popolo ebraico”

Settimana calda a Tel Aviv e Gerusalemme: dopo un’aspra battaglia parlamentare, è stato approvato un provvedimento che limita le libertà dei cittadini non ebrei. La lingua ufficiale diventa l’ebraico mentre si autorizzano altre colonie sulla sponda occidentale del Giordano. Malcontento anche tra gli israeliani
Benjamin Netanyahu e Jared Kushner EPA/Amos Ben Gershom

Dal 18 luglio scorso lo Stato israeliano ha una nuova legge fondamentale che definisce se stesso: «Stato-nazione del popolo ebraico». La Knesset, il parlamento israeliano, dopo anni di tira e molla e un dibattito in aula durato oltre otto ore, ha approvato la legge con 62 voti favorevoli, 55 contrari e 2 astenuti. La maggioranza di governo, il Likud di Netanyahu e i partiti conservatori che lo affiancano, in teoria può contare su 61 voti. Ma la cosa è evidentemente più complessa e frastagliata, perché alcuni membri della maggioranza si erano pubblicamente dissociati dalla proposta di legge.

Cosa comporta il nuovo provvedimento legislativo? Il passaggio fondamentale afferma che «la realizzazione del diritto di autodeterminazione nazionale in Israele è unica per il popolo ebraico». Si stabilisce inoltre che Gerusalemme unita è la capitale di Israele, che la lingua ufficiale è l’ebraico (l’arabo passa dallo status di lingua ufficiale a quello di lingua speciale), che il calendario dello Stato è quello ebraico. E si conferma che «lo Stato guarda allo sviluppo dell’insediamento ebraico come un valore nazionale e agirà per incoraggiare e promuovere la sua realizzazione e il suo consolidamento»: in altre parole, la legge autorizza l’insediamento di colonie di soli ebrei all’interno della West Bank, cioè nei territori occupati da Israele dal 1967 sulla sponda occidentale del Giordano.

Non è difficile intuire due cose: la prima è che i cittadini non ebrei dello Stato di Israele (che sono oltre il 20% della popolazione), anche quelli assolutamente pacifici e concilianti, non godono della parità di diritti e doveri rispetto ai membri del popolo ebraico, anche se non cittadini dello Stato; e la seconda è che in pratica la legge sancisce quello che di fatto già avviene da tempo.

Per quanto riguarda i palestinesi che non sono cittadini dello stato israeliano, la cosa sembra non avere alcuna rilevanza per il governo israeliano. Come se non ci fossero. Se fanno chiasso, come succede a Gaza, basta tenerli a bada con le armi. È una logica che va per la maggiore da molte parti, ormai, non solo in Medio Oriente. Secondo gran parte dell’opinione pubblica mondiale, in effetti la democrazia sta dimostrando in modo evidente di non essere in grado di tutelare gli interessi del popolo. Meglio un po’ di sano orgoglio sovranista. E se qualcuno resta fuori, spiace ma sono fatti suoi.

È di questi stessi giorni, e in fondo partendo dalla stessa logica di legittime scelte sovrane, la proposta di pace avanzata dal governo Trump per risolvere la «spiacevole questione palestinese» che sta insanguinando Gaza, e non da ieri. Il senso della proposta di Jared Kushner, consigliere statunitense e genero di Trump, è quello di dire, parafrasando il suo pensiero: suvvia ragazzi, lasciate perdere la violenza, voi siete i perdenti, dovete accettare questa evidente verità. Eppure noi, che siamo potenti ma anche buoni, se vi adeguate vi daremo tanti soldi e buone cose e tutto andrà meglio. Niente da fare, ostinati come sono, a Gaza pare che non vogliano proprio accettare e preferiscano morire inutilmente.

Sempre in questi giorni, a Tel Aviv e a Gerusalemme è arrivato in visita Viktor Orban, primo ministro dell’Ungheria. Curiosa amicizia, quella fra il premier dello Stato ebraico e l’ammiratore dichiarato del “reggente” ungherese Miklos Horthy, a capo, durante la Seconda guerra mondiale, di un governo collaborazionista che consegnò alle SS di Hitler 600 mila ebrei magiari. Orban, però, è soprattutto l’orgogliosa anima sovranista del gruppo di Visegràd (Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia) in prima fila nel respingimento dei migranti, ed è il leader di uno Stato che ignora per scelta l’esistenza di altre etnie all’interno del proprio Paese. Orban ha comunque reso omaggio alle vittime della Shoah recandosi allo Yad Vashem, pur contestato da un gruppo di cittadini israeliani, e al Muro delle lamentazioni. Ma si è rifiutato di far visita al presidente dell’Anp, Abu Mazen.

Va d’altronde sottolineato che anche in Israele non tutti sono d’accordo con la nuova legge, come testimonia il risultato del voto: 61 a 55. In altri sistemi democratici, per cambiare le regole fondamentali dello Stato sono necessari provvedimenti a maggioranza dei due terzi, o un referendum, o comunque percentuali di voto superiori alla semplice maggioranza assoluta. Riassumendo le critiche provenienti dall’interno del mondo ebraico, il direttore d’orchestra Daniel Barenboim ha detto: «Oggi mi vergogno di essere israeliano». Aggiungendo che con questa legge «gli arabi in Israele diventano cittadini di seconda classe. Questa è una forma molto chiara di apartheid».

 

 

 

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