Israele accelera in America Latina

La prima volta di un premier israeliano: Netanyahu in Paesi con maggior presenza ebraica – Argentina e Messico – e in Colombia. Affari e cooperazione, ma anche intensa attività diplomatica    

Prima di recarsi all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, dover ritroverà Donald Trump e il presidente palestinese Mahmud Abbas, il premier israeliano Netanyahu ha visitato Argentina e Messico, con una tappa di alcune ore in Colombia. Per il primo viaggio in America Latina di un primo ministro israeliano, sono stati scelti Paesi con una forte presenza ebraica o comunque commercialmente e diplomaticamente amichevoli. Colombia e Messico sono tra i 15 Paesi latinoamericani a non aver riconosciuto l’Autorità nazionale palestinese (Anp), mentre in Argentina vive la collettività ebraica più grande dell’America Latina e la sesta a livello mondiale.

Netayahu ha atteso un momento in cui i principali governi ostili a Israele nella regione hanno lasciato il passo ad altri decisamente più amichevoli. Prima, in effetti, l’ascendenza di Hugo Chávez sui governi del blocco dell’Alba (Alleanza bolivariana dei popoli della nostra America), formato da Venezuela, Ecuador, Bolivia, Nicaragua, Cuba e altri Paesi dei Caraibi, vi aveva esteso il rapporto privilegiato col nemico numero uno d’Israele, l’Iran, con il quale il Venezuela e i suoi soci avevano interessi petroliferi e commerciali, oltre alla simpatia ideologica per la causa palestinese da esso sostenuta. In quegli anni anche l’Argentina e un Brasile emergente sulla scena internazionale erano governati da progetti politici affini al chavismo e non proclivi a stringere un’amicizia con Tel Aviv. Ma dopo le vicissitudini degli ultimi anni, la bilancia delle influenze geopolitiche si è spostata, in parte almeno, dal piatto dell’Iran a quello di Israele.

In agosto dello scorso anno il ministro degli Esteri di Teheran ha visitato la regione evitando Argentina e Brasile. E non a caso, nella sua prima giornata sudamericana, Netanyahu ha ricordato che l’Iran incoraggia «il terrore in tutto il mondo», che la sua «minaccia è permanente e include l’America Latina» e che «Israele sarà la punta di lancia» contro questo pericolo, invitando i suoi «soci in America Latina» ad unirvisi.

Il premier è giunto in Argentina in compagnia di oltre 30 imprenditori, rappresentanti soprattutto di aziende tecnologiche e della sicurezza eufemismo per indicare il settore militare –: solo nel 2016, le industrie di armi israeliane hanno esportato in America Latina per un valore di circa 500 milioni di euro. Da anni la Colombia è cliente regolare di Israele, e il presidente Santos l’ha riaffermato, in un momento in cui la pace con la guerriglia ha aperto il campo all’azione di gruppi paramilitari e narcos. Simile è il caso del Messico, in guerra senza quartiere contro i cartelli della droga. Con la Colombia, Netanyahu ha firmato un documento per la cooperazione scientifica e in quella turistica. A Buenos Aires, il premier si è incontrato anche col presidente del Paraguay Horacio Cartes, col quale ha auspicato prospettive di collaborazione in termini di tecnologia, sicurezza, agricoltura e acqua. Israele è il quarto Paese di destinazione per l’esportazione di carne paraguayana, e gli acquisti sono in crescita.

Il maggiore ostacolo recente tra Argentina e Israele è stato il protocollo d’intesa con l’Iran per le indagini relative all’attentato all’istituto previdenziale ebreo Amia del 1994, che causò 85 morti e 300 feriti, e per il quale sono imputati otto iraniani, tra i quali due ex funzionari dell’ambasciata. Israele ha sempre accusato il governo iraniano del fatto e ora, da Buenos Aires, Netanyahu ha affermato di «non poter scartare l’idea che l’Iran sia dietro alla tragica morte» dell’avvocato dell’accusa in quella causa, l’ebreo Alberto Nisman, avvenuta nel 2015 e per la quale si era parlato inizialmente di suicidio. Pochi giorni fa, un giudice ha chiesto di indagare l’ex presidente Cristina Kirchner per ostruzione della giustizia e copertura degli imputati. Il presidente attuale, Mauricio Macri, ha di fatto annullato il protocollo d’intesa con l’Iran, recuperando i buoni rapporti con Israele.

Ma oltre al commercio e alla geopolitica, c’è un altro fattore da tenere in conto quando si parla di Israele e America Latina, che esula da questo viaggio ma che non ne è stato estraneo. La regione è storicamente un’oasi dove arabi ed ebrei hanno convissuto e convivono in armonia ed è tuttora forte in essa la presenza di organizzazioni pacifiste. Ciò è particolarmente evidente in alcune città dove è forte la presenza di entrambe le comunità. Prime fra tutte San Paolo e Buenos Aires, ma anche Rio de Janeiro, Caracas, Città del Messico, Santiago del Cile, Córdoba… Buenos Aires è la sesta “città ebraica” al mondo fuori d’Israele, con circa 300 mila “discendenti di Mosè”. Il quotidiano spagnolo El Paìs sintetizza: «È l’unica città al mondo dove si incrociano, ovviamente non per caso, il viale Stato di Israele e la via Stato della Palestina. Qui, scuole ebree ed entità musulmane convivono a pochi metri di distanza senza conflitti. Il Paese è stato presieduto da Carlos Menem, di origine siriana e musulmana – poi era diventato cattolico – e oggi ha come ministro dell’Ambiente un rabbino che non lascia mai la sua kippa, Sergio Bergman, mentre l’attuale first lady proviene da una nota famiglia siro-libanese».

Se non sono mancate le proteste da parte di gruppi pro-palestinesi antisionisti, anche i gruppi pacifisti si sono fatti sentire. L’organizzazione “Ebrei latinoamericani progressisti per la pace”, ad esempio, ha chiesto al presidente messicano Peña Nieto di intercedere presso Netanyahu per rinnovare gli sforzi di pace e di condannare l’espansione degli insediamenti israeliani e la demolizione di case palestinesi.

A Montevideo – sono in pochi a saperlo – le Nazioni Unite hanno organizzato nel 2011 una conferenza internazionale sul conflitto Israele-Palestina, nella quale si sono seduti allo stesso tavolo, tra gli altri, alcuni giovani, figli di palestinesi e di ebrei nati in queste terre. Raccontavano – ne sono stato testimone – dei tanti secoli di convivenza pacifica dei loro avi nella terra d’origine, e dei decenni della stessa esperienza qui in Sudamerica. Se è stato possibile per tanto tempo, non si può sperare che torni ad esserlo?

 

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