Iraq, un secolo di tensioni

La situazione politica irachena è sempre grave, nonostante l’intervento pacificatore del leader dei sadristi, Moqtada al-Sadr, che ha aiutato non poco ad abbassare i toni. Il Paese rischia una guerra civile fra sciiti (nazionalisti e filo-iraniani). Numerose le ingerenze straniere e la corruzione interna da cui sempre più giovani prendono le distanze
Iraq agosto 2022. (AP Photo/Anmar Khalil)

La situazione politica dell’Iraq è in piena implosione . A luglio i sostenitori del leader sciita nazionalista e populista Moqtada al-Sadr avevano occupato il Parlamento. Negli ultimi giorni di agosto i sadristi, infuriati dal tentativo della coalizione avversaria filo-iraniana (Quadro di Coordinamento) di imporre un loro premier, hanno invaso il palazzo presidenziale dopo che al-Sadr aveva annunciato, tra lo sconcerto dei suoi sostenitori, la sua intenzione di ritirarsi dalla politica.

La coalizione Sairoon guidata dai sadristi aveva vinto le elezioni dell’ottobre 2021 (73 seggi su 329), ma non era poi riuscita a formare una maggioranza (almeno 165 deputati) alleandosi con partiti curdi e sunniti. Così al-Sadr aveva chiesto ulteriori nuove elezioni, che il Consiglio supremo della Magistratura non ha concesso a norma della Costituzione.

Da qui la protesta contro il Presidente della Repubblica, il curdo Barham Salih, che secondo i sadristi avrebbe dovuto d’autorità sciogliere il Parlamento, decisione che non gli compete, nei termini richiesti dai sadristi.

Gli scontri tra milizie filo-iraniane e sadristi hanno provocato nelle ultime settimane forse una quarantina di morti e diverse centinaia di feriti. La protesta è dilagata oltre Baghdad, ed anche a Bassora ci sono state manifestazioni e scontri.

L’intervento del leader sadrista alla fine ha placato gli animi dei suoi: al-Sadr si è scusato con gli iracheni, ha detto che le armi non servono, ha invitato a liberare la Green Zone di Baghdad ed a manifestare in modo pacifico. E l’hanno fatto, tanto che l’esercito iracheno ha potuto revocare il coprifuoco. Le milizie sadriste inglobate nell’esercito (circa 60 mila militari) hanno favorito la tregua. E le milizie filo-iraniane, anch’esse inserite nell’esercito, hanno abbassato le armi. Il rischio di una guerra civile fra sciiti ha fatto un passo indietro. Per adesso.

Ma la situazione è talmente complessa e intricata che è molto difficile capirci davvero qualcosa. Ed è così non da oggi né da ieri, ma praticamente dalla nascita dello stato iracheno, 100 anni fa, dopo 4 secoli di dominio ottomano.

Al di là dei fatti, degli scontri e delle diatribe recenti, è quindi necessario sottolineare che la contrapposizione sanguinosa e apparentemente irriducibile di gruppi e milizie, in Iraq ha radici profonde e molteplici, da non sottovalutare, ma, allo stesso tempo, è importante rilevare che molti iracheni, soprattutto giovani, non sopportano più l’approccio violento e settario alla politica. Tragico ma positivo.

Uno degli indicatori di questa tendenza sono state proprio le elezioni dell’anno scorso, che hanno visto l’affluenza alle urne ridursi ancora: ha votato forse il 41% degli elettori, in un Paese giovane, dove il 60% dei 40 milioni di abitanti ha meno di 30 anni. Percentuali molto lontane dal voto del 2005, quando in un clima di speranza si recò alle urne quasi il 56% degli aventi diritto.

Naturalmente a proposito dell’astensionismo non si può dimenticare la rivolta del 2019 (thawra tishreen), che coinvolse molti giovani che manifestavano contro corruzione, disoccupazione, mancanza di servizi e influenze straniere, finita con centinaia di morti e attivisti scomparsi, soprattutto ad opera delle milizie filo-iraniane.

Un altro aspetto insopportabile per molti giovani iracheni (senza contare quelli che hanno già lasciato il Paese), e mai affrontato, è quello della spartizione confessionale degli incarichi governativi e degli stessi posti di lavoro (muhasasa tai’fiyya), che inevitabilmente favorisce nepotismo e clientelismo. In stile libanese, insomma.

È molto difficile credere che il sistema possa auto-assolversi evitando di guardare in faccia questi ed altri gravissimi problemi. Senza dialogo non si va lontano: al massimo si va verso un’altra guerra, cioè, oltre al massacro, alla fine di ogni residuo barlume di democrazia e all’insediamento di qualche nuovo e insopportabile “uomo della provvidenza” che metta tutti in riga con la forza.

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