Iraq, dove la pace non trova casa

Dopo l’occupazione, la settimana scorsa, del Parlamento di Baghdad da parte dei sadristi, la protesta si è solo spostata. Si parla di nuove elezioni anticipate dopo che quelle posticipate del 2018 e poi quelle anticipate del 2021 non sono riuscite a produrre accordi tra le fazioni per eleggere il Presidente della Repubblica
Iraq agosto 2022. (AP Photo/Anmar Khalil)

In Iraq – e mi addolora parlarne per i rapporti di stima che ho costruito negli anni con diversi iraqeni –, le cose stanno decisamente peggio che da noi in Italia. In fondo, i temi non sono tanto diversi, solo più gravi. Manca l’acqua per l’agricoltura (per un dissennato uso delle risorse idriche) e ci sono stati la settimana scorsa nel sud del Paese, a Najaf e Bassora, picchi di 50 gradi di temperatura.

In questo clima torrido, si sono verificate liti e proteste, con l’occupazione del Parlamento di Baghdad: parlamento vuoto, in quel momento, ma da tempo bloccato e privo di prospettive per mancanza di dialogo e di capacità di mediare. Tanto che si parla ormai di elezioni anticipate, dopo che le precedenti elezioni, quelle posticipate del 2018 e le ultime, quelle anticipate del 2021, non sono riuscite a produrre nessuna pace, nessun dialogo fra le parti.

La crisi politica parte dall’incapacità di un accordo per eleggere il Presidente della Repubblica. Occorre una maggioranza qualificata di due terzi, che non c’è verso di trovare. Fino ad ora, la presidenza della repubblica era riservata a un esponente di etnia curda, contesa quindi fra i due gruppi politici che rappresentano i curdi in Parlamento: il Kdp (Partito Democratico del Kurdistan) e il Puk (Unione Patriottica del Kurdistan). Accordo che non si trova più soprattutto a causa degli schieramenti opposti in cui si sono infilati i due partiti curdi.

L’altro grande scontro politico è quello in campo sciita: da un lato c’è l’“Alleanza per la salvezza della patria”, il partito sadrista guidata dal chierico sciita Moqtada al-Sadr, alleato con l’“Alleanza per la sovranità sunnita” e il Kdp curdo. Schieramento (150 deputati su 329) che propugna posizioni nazionaliste e anti-iraniane.

L’altro grande blocco è quello definito “Quadro di coordinamento” che riunisce vari partiti sciiti filo-iraniani. Pur senza una maggioranza, il Quadro può contare sull’appoggio del Puk curdo e su movimenti di nuova generazione. Poi c’è la “Coalizione dello Stato di Diritto” che fa capo all’ex primo ministro Nuri al-Maliki, particolarmente inviso ai sadristi, che si pone come ago della bilancia nella contrapposizione fra sadristi e Quadro.

La situazione è ovviamente anche molto più complicata, ma in estrema sintesi è segnata oltre che dalla politica spaccata anche da vari altri scogli, che sarebbe più appropriato definire montagne.

La crisi è poi anche economica, con un aumento globale dei prezzi, particolarmente grave per alcuni prodotti base aumentati fra 20 e 50% (qui c’entra anche se indirettamente il conflitto in Ucraina), forti carenze di approvvigionamento alimentare (50% del fabbisogno proviene dall’estero) e perfino insufficente disponibilità di carburanti. Cioè: l’Iraq, il sesto produttore al mondo di greggio (subito dopo Usa, Arabia, Russia, Canada e Cina), ha bisogno di importare dall’estero carburanti raffinati, 16 milioni di litri al giorno, a causa di impianti di raffinazione insufficenti e obsoleti, spendendo inoltre 4 milioni di dollari al giorno per sovvenzionarne i prezzi di vendita, altrimenti irraggiungibili dagli utenti.

Senza contare il conflitto mai del tutto risolto con i jihadisti dell’Isis, tuttora ben presenti in alcune aree del Paese, anche per la difficoltà di acquistare armi (costose) per l’esercito. E se a questi problemi di non poco conto si aggiungono gli attacchi della Turchia di Erdogan alle comunità curde sfollate e le questioni non secondarie relative alle minoranze di cristiani, yazidi, mandei, shabak (tanti fra loro gli sfollati e non pochi gli espatriati e i profughi all’estero), il quadro supera i limiti dell’inquietudine per entrare nel dramma.

«Il Paese è in una fase incandescente segnata dal blocco del quadro politico e da disoccupati e poveri che scendono in piazza», ha scritto il cardinal Sako nel suo appello del 31 luglio al Paese. Il patriarca di Babilonia dei Caldei ha invitato la società iraqena a rimuovere la cause strutturali che generano questo caos, in particolare il “sistema delle quote” che distribuisce cariche politiche e istituzionali su base settaria, generando ingiustizie e corruzione.

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