La storia del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) sembra stavolta riprendere veramente il suo difficilissimo cammino. L’Iran, tramite il suo viceministro degli Esteri e capo negoziatore, Ali Bagheri Kani, ha confermato nei giorni scorsi (a margine del G20) l’intenzione iraniana di riprendere la trattativa sul nucleare. I negoziati dovrebbero riprendere a Vienna, in presenza e direttamente, dal 29 novembre prossimo. Bagheri Kani ha scritto su Twitter: “Abbiamo deciso di aprire un negoziato che punti alla rimozione di sanzioni illegali e inumane”. La situazione economica della Repubblica islamica, dopo decenni di sanzioni, è al limite, con un’inflazione al 50% e una povertà assoluta che in 2 anni è passata dal 15 al 30% della popolazione.
La disponibilità statunitense alla ripresa dei contatti e della trattativa era stata manifestata dal presidente Joe Biden a pochi mesi dal suo insediamento, nell’aprile scorso, riaprendo questo complesso capitolo che a maggio 2018 Trump aveva chiuso con ostinata determinazione, inasprendo anche le già dure sanzioni internazionali in atto contro Teheran e allargando una guerra non dichiarata portata avanti a colpi di droni e di attacchi a sorpresa contro siti militari e personaggi chiave.
L’accordo Jcpoa sul nucleare iraniano era stato firmato nel 2015 (al tempo della presidenza Usa di Barack Obama) dall’Iran e da varie potenze mondiali (Stati Uniti, Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Germania, Unione Europea). Prevedeva in sintesi la rimozione di alcune pesanti sanzioni internazionali imposte all’Iran dalle Nu nel 2007 (proprio a causa di un temuto progetto militare iraniano per giungere alla produzione di armi nucleari) in cambio di un rallentamento controllato nel programma iraniano di arricchimento dell’uranio, tale da consentire usi civili (produzione di energia) ma non la realizzazione di armi nucleari.
Nei tre anni in cui il Jcpoa è stato in vigore non si sono registrate infrazioni di rilievo da parte iraniana, mentre dal 2018 in poi ogni minaccia e attacco statunitense hanno puntualmente provocato come risposta l’incremento del programma di arricchimento dell’uranio, tanto che attualmente si calcola che Teheran sarebbe in grado di completare in pochi mesi l’arricchimento dell’uranio per allestire armi nucleari.
Dopo lo sblocco voluto da Biden all’indomani della sua elezione, si temeva che il nuovo presidente iraniano, il conservatore Ebrahim Raisi, non avrebbe accettato la ripresa delle trattative diplomatiche. Invece nei giorni scorsi a margine del G20 di Roma si è riaperta la possibilità di un ritorno al multilateralismo con l’adesione alla proposta statunitense dei leader di Francia, Germania e Regno Unito. Sperando di riagganciare anche l’Unione europea e soprattutto Cina e Russia. Evidentemente con qualche possibilità in meno e qualche problema in più rispetto al 2015.
Certo, anche le condizioni di partenza della nuova trattativa diplomatica che si dovrebbe aprire a Vienna fra meno di un mese non sono le stesse del 2015. Gli obiettivi da raggiungere dovranno necessariamente tener conto di questi tre anni di escalation: sarà arduo riuscirci, ma c’è almeno la possibilità di provarci.
Il rischio di un disastro planetario negli ultimi anni si è pericolosamente riavvicinato. Secondo una rappresentazione simbolica che non esprime un tempo reale ma la percezione della gravità delle minacce globali, il Doomsday Clock (l’orologio dell’apocalisse), con l’accumulo di minacce come guerra nucleare, pandemia e cambiamenti climatici, segna oggi 100 secondi dall’apocalisse. Segnava sette minuti nel 1948, quando fu ideato dal Bulletin of the Atomic Scientists (Università di Chicago), ed è arrivato anche a 17 minuti nel 1991, alla fine della Guerra Fredda. Il livello attuale è quello di rischio più elevato raggiunto negli ultimi 73 anni.
I Paesi del mondo che detengono armi nucleari sono attualmente otto, per quanto è possibile sapere (fra parentesi il numero di testate): Russia (4407), Usa (3800), Cina (350, in aumento), Francia (290), Regno Unito (225), Pakistan (165), India (160), Israele (90). Più che sufficenti a scatenare l’apocalisse anche senza l’ingresso, al nono posto, dell’Iran.