Io, io, io… e l’Altro

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Sarà un po’ come un quadro impressionista, questo articolo. Ma neppure. Molto, molto più povero. Solo qualche pennellata. Presentare in poche righe Emmanuel Lévinas è cosa quasi impossibile, tanto vasta è la sua opera, tanto ostica da penetrare per chi non è “del mestiere”. Mi faccio coraggio pensando che a lui non sarebbe del tutto dispiaciuto un tentativo di presentarla in modo semplice, pur correndo l’inevitabile rischio di cadere nella superficialità. Perché per Lévinas la filosofia è innanzitutto ascolto, dialogo, insegnamento, dono all’altro del percorso proprio del pensiero: la sua è una proposta di vita. Prima pennellata… Nato in Lituania da famiglia ebraica, Lévinas conosce di persona alcuni dei grandi traumi della nostra epoca: vive in Russia ai tempi della Rivoluzione d’Ottobre poi, per diversi anni, è internato nei campi di concentramento nazisti. Queste esperienze, unite allo studio, forgiano il suo pensiero. Dopo aver tanto insegnato e scritto, muore novantenne a Parigi nel ’95 in un giorno particolare: Natale, per i cristiani; l’ottavo giorno della festa di Channuka, per gli ebrei. La sua toccante personalità, che traspariva dal volto, ci viene consegnata nelle brevi note in cui Sergio Quinzio ricorda l’incontro con il filosofo: “Il volto dell’ottuagenario Lévinas provoca intensamente l’umanità del suo interlocutore… l’impressione di quando, obbediente alle immotivabili, irrazionali regole della purità rituale ebraica chiede dolcemente scusa ai suoi commensali di creare difficoltà e imbarazzo non potendo mangiare ciò che viene servito”. Un’altra pennellata… Il pensiero di Lévinas si sviluppa in due sentieri che s’incontrano e diventano un’unica via: la filosofia e la riscoperta del ricchissimo patrimonio culturale ebraico contenuto nel Talmud. Riscoperta che per lui avviene con l’incontro di un maestro assai singolare: Monsieur Chouchani. Questi era, secondo i pochi che l’hanno conosciuto, un genio assoluto, nel vero senso della parola; ma anche un personaggio originalissimo: sporco, vagabondo, irascibile, compariva e scompariva senza lasciare traccia; di lui non rimane alcuno scritto. “La sua vita e la sua morte sono sigillate nell’enigma” è l’epitaffio sulla sua tomba a Montevideo. E quello che è stato scritto su di lui da un altro suo allievo, Elie Wiesel, nel racconto L’ebreo errante, non fa che aumentare il mistero. Scrive Lévinas: “…a questo punto vorrei ricordare un avvenimento decisivo per la mia formazione: la scoperta del Talmud… Io ho conosciuto un vero genio del Talmud. Mi riferisco a Monsieur Chouchani. Lui aveva il Talmud dentro, incarnato, vivente… Questo accanto alle influenze di Husserl e Heidegeer è il solo nome che oggi mi sento di pronunciare… Ricordo che tutto ciò a cui egli perveniva e pensava s’infiammava”. E ancora un’altra pennellata… Questa volta per dipingere il volto dell’Altro, che rappresenta il nucleo centrale dell’opera di Lévinas. Tutta la sua filosofia sembra racchiusa nel tentativo radicale di convertire il pensiero all’ascolto dell’Altro. Il volto dell’Altro, secondo Lévinas, mi chiama – con le sue necessità, i suoi desideri, i suoi misteri – e mi comanda, mi obbliga a servirlo. Se il volto è cosa distingue e divide dall’Altro, proprio nel dialogo con l’Altro, nel faccia-a-faccia rischioso, ma ineludibile, c’è l’unica possibilità per realizzarsi e spezzare il cerchio dell’isolamento. Ma per far questo l’Altro deve essere accettato nella sua diversità, così come egli si presenta. Incontrare qualcuno, dice Lévinas, significa non inscatolarlo in un sistema “ma riconoscerlo come ignoto e accoglierlo come estraneo, senza costringerlo a intaccare la sua differenza “. È questa accettazione totale dell’Altro che è alla base del comandamento fondamentale non uccidere; precetto che, in varie forme, è spesso violato. Un’altra pennellata… Per dipingere una parola assai cara a Lévinas: responsabilità. Sì, perché “se l’Altro m’interpella e mi comanda con la sua stessa nudità e indigenza, la sua stessa presenza è un obbligo a rispondere… Essere “Io” significa non potermi sottrarre a questa responsabilità”. In un’intervista egli raccontò questo aneddoto: “C’è un vecchio detto talmudico che mi ha sempre impressionato: Dio è del tutto straordinario. In effetti per battere moneta gli Stati ricorrono a un calco. Con un calco unico essi fanno molti pezzi tutti somiglianti. Dio, col calco della sua immagine, arriva a creare una molteplicità dissimile: tanti Io, ma unici nel loro genere. Rabbi Chaim di Volozin ne conclude che ciascuno di noi – uomo unico al mondo – è responsabile dell’intero universo!”. In altri momenti, usando una metafora molto più popolare ma efficace, per ricordare quanto grande sia la responsabilità che abbiamo verso l’Altro, disse: “Non siamo responsabili solo del nostro cane!”. All’imperativo della chiamata dell’Altro, Lévinas suggerisce che l’unica risposta responsabile è: Eccomi!, Sono qui! Non il “Penso quindi Sono”, motto di tanta filosofia moderna, ma il biblico Sono qui! – risposta che sia Abramo sia Mosè diedero a Dio – diventa l’emblema del suo pensiero . Una pennellata dopo l’altra… A chi gli fece notare che questa responsabilità verso l’Altro poteva essere un impegno troppo forte, una chiamata eccessiva, rispose: “Forse non è ciò che si chiama piacevole, attraente, ma è il bene. Ciò che è veramente importante è poter dire che l’uomo veramente buono, nel senso europeo del termine, derivato dai greci e dalla Bibbia, è l’uomo che comprende la santità come il valore ultimo, come valore inattaccabile. Ed io posso sostenere questo senza essere un santo, senza presentarmi come santo”. Non so se lo ricordate… un film un po’ particolare, di Blasetti, un film del ’66. Nel cast c’era quasi tutto il cinema italiano, dominato da uno strepitoso Walter Chiari. Un film a sketch, curioso, divertente, un po’ moralistico. S’intitolava Io, io, io e… gli altri, un tentativo di raccontare in maniera simpatica, ma piccante, uno dei sentimenti più diffusi nella nostra epoca: l’egoismo. Leggendo Lévinas mi è venuto in mente spesso questo film. In esso la generosità, l’amore per l’Altro, ne uscivano un po’ malconci, come un dono improbabile, un po’ irreale, rappresentato dalla visione dei due vecchietti che forse davvero si sono donati qualcosa nella vita. Ecco, l’opera di Lévinas è racchiusa nello sforzo di credere che è possibile essere come quei due vecchietti.

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