Investire in sicurezza nei porti

La tragedia di queste ore porta nuovamente all'attenzione il problema dell'adeguatezza delle strutture portuali del nostro Paese: se la torre fosse stata costruita più all'interno rispetto allo slargo di manovra delle navi gli effetti dell'incidente sarebbero stati probabilmente meno drammatici
Incidente nel porto di Genova

Una nave con una massa di 100 mila tonnellate che si sta muovendo alla velocità di 10 centimetri al secondo sembra quasi ferma, ma se essa incontra un ostacolo rigido libera contro di esso tutta la sua "quantità di moto", pari a quella di un masso di 200 tonnellate che si schianta sullo stesso ostacolo a 180 chilometri all'ora.

È un semplice calcolo fisico: la massa moltiplicata per la velocità calcola la quantità di moto o forza d'inerzia, quella che dovrebbe essere sempre tenuta presente nella progettazione di edifici situati in posizione da poter essere soggetti all'impatto di navi in movimento; questo tanto più nel caso di strutture ardite, sospese a cinquanta metri di altezza, costruite non in ferro, che si piega e non si spezza, ma in cemento, che se non abbastanza armato si spezza come un grissino, come la torre dei piloti del porto di Genova.

Nella progettazione dei porti per grandi navi, questi aspetti sono ben noti: nei porti a cui attraccano petroliere con massa dalle 300 alle 600 mila tonnellate, gli attracchi sono protetti dalle cosiddette "briccole di accosto", serie di enormi tubi del diametro fino a tre metri, piantati verticalmente per decine di metri nel fondo del mare: flettendosi al momento dell'impatto con la nave essi ne assorbono la enorme quantità di moto e la trasmettono alle rocce del fondo: a volte, se le rocce del fondo sono rigide e la velocità dell'accosto non è la minima, il pontile, pur non è toccato dalla nave, trema per un piccolo terremoto.

Se quella torre posta sullo slargo del porto dove avviene la evoluzione delle navi in entrata e uscita fosse stata eretta qualche metro più all'interno del pontile, in modo che le strutture sporgenti delle navi non potessero raggiungerla, la nave che ha colpito il pontile per avaria dei motori o errore di manovra, si vedrà, si sarebbe schiantata sulla struttura di cemento del pontile, facendo certo danni a sé e al pontile, ma senza far crollare la torre e salvando le vite di dieci lavoratori, persone che non erano lì per ammirare il panorama, ma per prestare un servizio per la comunità in ore in cui la maggioranza di noi sta riposando.

Si dirà che la torre è stata costruita venti anni fa, e nel frattempo la dimensione delle navi che attraccano in porto è fortemente aumentata, mentre per accoglierle si è fatto il minimo indispensabile, cioè si è dragato il fondo del mare per poterle accettare malgrado il loro maggiore pescaggio.

Un porto attrezzato per i trasporti intercontinentali del presente, adeguatamente collegato con l'interno del paese, è per Genova, per la valle Padana e per l'Italia intera una struttura fondamentale, da cui non si può trarre solo profitto, senza investire in vista del presente e del futuro: a tal fine sembrerebbe più che giustificata la richiesta della Regione Liguria di avere a disposizione le entrate fiscali che la attività portuale riesce ad indurre, per effettuare investimenti produttivi per esso.

Chissà che non sia la tragedia di questi giorni, a portare finalmente a decisioni davvero utili alla comunità nazionale! 

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