Intervista a John Mundell

«Se lavoriamo per prenderci cura della terra, possiamo vedere gli impatti positivi dei nostri sforzi». L'intervista è stata pubblicata sul numero di agosto della rivista Città Nuova.
John Mundell

John Mundell è global director della Piattaforma d’Iniziative Laudato Si’, che mette in contatto e supporta comunità e individui impegnati per la cura del pianeta. È fondatore e presidente dell’azienda di consulenza ambientale Mundell & Associates, dal 1995 parte di Economia di Comunione. Negli ultimi 40 anni, ha lavorato a migliaia di progetti in tutto il mondo, aiutando comunità, Stati e aziende a ripulire la terra dall’inquinamento e a renderla di nuovo fertile e produttiva.

Da dove nasce l’interesse per l’ecologia?
Da giovane, a fine anni ’60, ho incontrato un uomo, Sonny Reed. Camminava per le strade della città raccogliendo bottiglie di soda che consegnava per 5 centesimi a bottiglia: era il suo modo di guadagnare soldi per sfamarsi. Molte persone lo prendevano in giro; immagina un uomo alto con un grande borsone sulla schiena pieno di bottiglie di vetro che cammina per strada. A volte camminava per più di 20 miglia al giorno.

Era semplice, di poche parole, ma trattava chi incontrava con gentilezza. Qualche anno dopo, durante la prima Giornata della Terra nel 1970, mi resi conto che ripulire i lati della strada raccogliendo la spazzatura faceva bene all’ambiente. Sonny lo aveva fatto per guadagnarsi da vivere, ma faceva anche una cosa meravigliosa per il pianeta. Ciò che fai per il pianeta può non sembrare emozionante, ma sono i risultati delle nostre azioni ad essere importanti. Questo esempio mi è rimasto impresso.

Tra gli anni ’60 e ’70 negli Usa l’acqua dei fiumi e dei torrenti era inquinata, la qualità dell’aria delle grandi città era pessima, per lo smog causato dagli scarichi industriali. Vedendo questo, mi è nato il desiderio di aiutare a ripulire il pianeta. Sono andato all’università e ho studiato Scienze della terra e Ingegneria civile e ambientale. Una volta laureato, sono stato tra i primi consulenti ad affrontare questi problemi negli Stati Uniti.

Dal 1995 ha giocato un ruolo importante anche il suo impegno con l’iniziativa dell’Economia di Comunione…
Con mia moglie abbiamo conosciuto i Focolari 45 anni fa, quando stavamo per sposarci. Nel maggio 1991, quando negli Stati Uniti giunse la notizia della “bomba brasiliana” fatta esplodere da Chiara Lubich e dalla comunità brasiliana del Movimento, con mia moglie Julie ci siamo detti: «Questa idea dell’Economia di Comunione è meravigliosa, chissà chi la farà?». Presto ci siamo resi conto che proprio noi eravamo chiamati a lavorare per un’economia più giusta, sostenibile ed equa. Usare il “business” per trasformare l’economia può fare davvero la differenza.

Durante i primi anni, cercavamo di “vivere” questo nella nostra vita quotidiana di azienda, con i pochi dipendenti che avevamo. Man mano che l’azienda cresceva, ci siamo resi conto che per trasmettere questa “cultura del dare” dovevamo anche parlarne e condividere esperienze. All’inizio, programmavamo giornate in cui tutti i dipendenti aiutavano la comunità locale, lavorando in una cucina per i poveri, ristrutturando case nei quartieri meno abbienti, assumendo in azienda persone disoccupate o con difficoltà personali. Poi, nel 2003 abbiamo iniziato un programma di tirocinio che avrebbe portato giovani da tutto il mondo nella nostra azienda per imparare a vivere l’Economia di Comunione. Abbiamo introdotto il Cubo Aziendale, basato sul Cubo dell’Amore di Chiara Lubich, per spiegare i valori EdC ai nostri dipendenti. Alla fine di ogni anno, inoltre, consegniamo ai dipendenti un resoconto di quanti soldi siamo stati in grado di donare all’EdC e quale impatto hanno avuto le donazioni.

In base alla sua esperienza, quanto è importante collaborare tra persone diverse quando si affrontano questioni ambientali?
È necessario avere background diversi, con competenze, formazione, esperienze e prospettive culturali varie. Solo così è possibile sviluppare soluzioni efficaci. L’ho sperimentato non solo all’interno della mia azienda, ma anche della Chiesa. I risultati migliori spesso arrivano quando tutti possono dare il loro contributo. Questo include in particolare i giovani.

Dopo la pubblicazione della Laudato si’, lei è stata invitata in Vaticano per discutere su come implementarne i temi. Tra le idee che ha portato c’era la Piattaforma di Iniziative Laudato si’. In cosa consiste?
È un’iniziativa e una comunità online promossa dal Vaticano, che vuole sostenere un cammino di conversione ecologica attraverso l’ecologia integrale. È un invito aperto a famiglie, individui, parrocchie, diocesi, scuole, strutture sanitarie, imprese, congregazioni religiose e comunità di vario tipo a intraprendere un viaggio per sanare le nostre relazioni con Dio, col prossimo e con la Terra stessa.

Fornisce linee guida e risorse, webinar e incontri per entrare in contatto con altre persone che stanno agendo. Ha diversi obiettivi: rispondere al grido della terra e dei poveri, aumentare la spiritualità ecologica, l’educazione ecologica e l’economia ecologica, adottare stili di vita sostenibili, far crescere la resilienza e la capacità di azione delle comunità. L’idea di fondo è che, se viviamo ciò in cui crediamo, siamo più credibili e, se agiamo insieme, siamo più efficaci. Lasciarsi ispirare l’uno dall’altro a livello globale è davvero una spinta ad agire a livello locale.

Alcune persone, negli Usa ma non solo, negano ancora la crisi climatica…
Il dialogo, a livello sia personale che politico, è più efficace quando sei in grado di condividere qualcosa su di te, la tua storia personale sul perché credi in ciò in cui credi. Poi è necessario mettersi davvero in ascolto dell’altro. Alcune di queste conversazioni sono difficili, soprattutto a causa della disinformazione dell’ex presidente degli Stati Uniti e della sua influenza. Tuttavia, specialmente negli ultimi due anni, gli impatti del cambiamento climatico negli Usa sono diventati più evidenti e diffusi. C’è la speranza che tutto questo abbia cominciato a cambiare la mentalità delle persone.

Cosa pensa del piano industriale di Biden?
Nel 2022 Biden ha approvato l’Inflation Reduction Act, la più grande legge sul clima della storia. Supporta lo sviluppo di energia pulita, l’adozione di auto elettriche, gli aggiornamenti dell’efficienza energetica, la cattura del carbonio, i miglioramenti della rete elettrica, l’agricoltura sostenibile. Se venisse eletto di nuovo, Biden potrebbe centrare l’obiettivo del Paese di raggiungere il livello zero di emissioni entro il 2050.

Penso che un “capovolgimento” delle condizioni esistenti sia possibile. Questo include anche un lavoro da compiere nella Chiesa cattolica universale. Una parte importante del progresso deve essere il passaggio da una cultura dell’avere a una del condividere. È la cosa più difficile da realizzare: passare da un punto di vista puramente capitalistico a uno volto al bene comune, alla salute della Terra.

L’ecoansia, la paura dell’inevitabilità del cataclisma ambientale, è un fenomeno sempre più diffuso. Si sente mai impotente di fronte alla situazione globale di oggi?
Sì, devo ammettere che a volte sono preso da un senso di frustrazione, quando vedo la nostra incapacità di avere un impatto sul mondo, in un lasso di tempo ragionevole. Questo amplifica la “vocina” nella mia testa che sussurra: «Perché ti preoccupi? Quello che fai non ha effetto sui grandi problemi del pianeta!». Ma mi sono reso conto che l’unico mondo su cui posso avere impatto è il mio mondo, quello che incontro ogni giorno. Questo mi aiuta a rimanere coi piedi per terra, e allora cerco persone che hanno i miei stessi sogni.

Mi prendo anche il tempo per cercare piccole esperienze vissute da altri che mi diano speranza. Un gruppo di bambini di una scuola che piantano alberi, una parrocchia che avvia un orto comunitario, un’università che cambia il suo curriculum per includere una formazione ecologica o una diocesi che inizia un programma di controllo energetico. Questo è l’importante: lavorare in comunione e condividere le nostre storie, per ispirarci a vicenda e darci speranza per il futuro. Possiamo lasciarci ispirare dalla natura stessa. C’è una bella poesia di Wendell Berry che dice che per guarire dalla paura e dall’afflizione possiamo «riposare nella grazia del mondo naturale».

Quale attivista o ambientalista la ispira?
Ho molti eroi che mi hanno ispirato, oltre alle persone con cui ho lavorato a livello diocesano e nella Piattaforma d’Azione. Inizierei da Rachel Carson; le sue intuizioni sull’impatto dell’insetticida DDT hanno dato il via al movimento ambientalista. Ma anche Jacques Cousteau, oceanografo francese, e Jane Goodall, antropologa inglese. Papa san Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI e papa Francesco, che hanno scritto sulla cura del creato come parte della nostra fede cattolica. Poi c’è Wangari Maathai, fondatrice del Green Belt Movement in Kenya. Tra i giovani attivisti citerei Xiye Bastida, della Otomi Toltec Nation, cultura indigena del Messico, e Leah Namugerwa, ugandese. Poi, coloro che hanno partecipato alla nostra Task Force EcoPlan per sviluppare l’EcoPiano Globale dei Focolari. Insomma, una rete di persone che si ispirano e si supportano a vicenda per continuare a prendersi cura del creato.

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