Intervista a Cristian Zorzi, campione dello sci di fondo

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“La sprint è l’essenza del fondo, tutta la realtà dello sci nordico concentrata in 3 minuti: fatica, agilità, tensione, velocità, tecnica. E poi spettacolo, grande spettacolo”. Così Cristian Zorzi, il fondista più stravagante e sfacciato che l’Italia abbia mai avuto, dipinge la sprint, la gara più breve dello sci nordico, 1500 metri bruciati in apnea, che da qualche anno ha rivoluzionato il tradizionale cliché del fondo fatto di silenziose distese di neve e di austeri personaggi votati alla fatica. In una inconsueta intervista telefonica, realizzata mentre si allena camminando in salita col suo piccolo Harald sulle spalle, Zorzi mi spiega le origini delle sue scelte. “Da ragazzo trovavo le gare di fondo di una noiosità estrema, a parte la partenza e l’arrivo. Capivo perché tanta gente si stufava e si allontanava da questo sport, pur rispettando la enorme fatica che comporta. Per me il fondo è sempre stato, prima di tutto, divertimento”. E così, quando, per la prima volta, a Lahti, in Finlandia, giusto due anni orsono, le sprint sono entrate per la prima volta nel programma dei Mondiali, Zorzi ha trovato pane per i suoi denti intascando un prezioso argento e dando libero sfogo alla sua stravagante originalità: gli sci firmati Tornado, come il cavallo di Zorro, ma soprattutto una “zeta” scolpita nei capelli sulla nuca asancire l’esplosione di un personaggio che da allora è il più gettonato da giornalisti e fotoreporter. Che effetto ti fa? “Sono contento di risultare un personaggio divertente – spiega Cristian – perché così la gente mi vuol bene per quello che sono e non solo per i risultati, e per un atleta, credimi, questo è molto importante. A dicembre, ad esempio, mese in cui non sono andato molto bene, non mi sono mai arrivate critiche, ma solo parole di incoraggiamento “. A gradire il personaggio sono soprattutto i bambini, che in valle lo fermano per strada per firmare un autografo “e per chiedermi se davvero sono io il vero Zorro”. Ma gli scandinavi, tradizionali mostri sacri del fondo, come hanno accolto il tuo atteggiamento spregiudicato? “Mi vogliono bene, perché sanno che non ho inventato niente: questo è il mio comportamento naturale, spontaneo “. Zorzi del resto non ha mai perso occasione di turbare la quiete dei ritiri, come quando ha riempito di petardi le vecchie scarpe da fondo di un compagno di squadra. “Ho sempre voluto buttare per aria – ammette – i canoni del fondista come atleta riservato, silenzioso, dedito solo alla fatica solitaria”. Sul tuo conto gira voce di poca voglia di far fatica, confermata dalla tua scarsa predisposizione al classico passo alternato ed alle gare lunghe: cosa rispondi? “Non è vero: nella tecnica classica – replica Zorzi – è per la mia corporatura che trovo seri problemi di tenuta e di velocità e stento a trovare materiali, sci e scioline”. Diverso il suo giudizio sulla fatica: “È vero che le sprint sono gare brevi, ma non dimentichiamo che in mezza giornata si disputano batterie, quarti, semifinali e finali, una in fila all’altra. È come correre una dieci chilometri, spezzettata sì, ma guai a far calare la concentrazione nell’attesa. La sprint ti richiede la massima attenzione: ogni particolare è determinante, la velocità del gesto atletico, la posizione d’appoggio dello sci, la scelta in tempi brevissimi su come affrontare una curva, un sorpasso, un imprevisto. Nelle gare lunghe c’è tempo di pensare, di rimediare agli errori: nelle sprint rischi in un secondo di buttare una stagione”. Deve essere per questo che, occorre ammetterlo, le sprint hanno contribuito non poco resuscitare l’entusiasmo del pubblico per lo sci nordico: ai 50 mila spettatori dei templi del fondo, come Lahti e Lillehammer, ed ai fans televisivi viene offerto uno spettacolo esaltante tutto concentrato nell’anello disteso davanti ai loro occhi. Ed i moderni gladiatori della neve non fanno mancare le emozioni: guizzi, sorpassi, ma anche tagli di corsia, spintoni, gomitate, cadute, garantiscono colpi di scena a non finire, con arrivi, il più delle volte, al fotofinish. Dopo il ritiro di Stefania Belmondo tutt’altro personaggio, è ora Cristian Zorzi la punta di diamante azzurra ai mondiali di Fiemme: dopo le due medaglie (bronzo nella sprint ed argento in staffetta) conquistate alle Olimpiade di Salt Lake City, tutti si aspettando un tuo exploit sulle nevi di casa: “Qui tutto ha per me un sapore particolare – ammette -. La natura e persino l’aria hanno qualcosa di diverso, di familiare, e così la neve, quel tipo di neve che conosco fin da ragazzo. Punto al massimo, faccio tanti di quei sogni che potrei riempire un’enciclopedia. Ho tanta voglia di far bene, ma non posso negare che ho tanta emozione addosso “. Zorzi viene da un anno un po’ speciale: i successi olimpici, la nuova casa, ma soprattutto l’arrivo di Harald, il primo figlio: “Vorremo al più presto averne altri – commenta Cristian, mentre il piccolo che porta sulle spalle gorgheggia al cellulare – e vorrei che del papà ricordassero non solo i successi, ma prima di tutto la capacità di prendere la vita con leggerezza”.

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