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Inquinanti Pfas in Italia, la mappa di Greenpeace

di Domenico Palermo

L’associazione ambientalista denuncia una presenza diffusa sul territorio nazionale delle sostanze chimiche nocive della salute umana prodotte dall’attività industriale. La questione aperta della regolamentazione dei valori ammessi per legge e l’incognita delle onerose opere di bonifica.

Pfas Foto Greenpeace

Il 22 gennaio Greenpeace Italia ha pubblicato un’indagine indipendente, condotta fra settembre ed ottobre 2024 in tutta Italia, prelevando e analizzando 260 campioni di acqua potabile in 235 comuni.

I risultati hanno dimostrato che il 79% dei campioni analizzati, erano contaminati dalla presenza di almeno una sostanza Pfas.

Questo studio rende evidente la gravità della contaminazione da Pfas in Italia, non circoscrivibile al solo caso della società Miteni in Veneto, portato all’attenzione internazionale dalla reazione della società civile e dall’impegno di tante associazioni e movimenti, tra cui le Mamme no-Pfas.

Lo studio di Greenpeace mette in evidenza come l’assenza di una legge nazionale che vieti l’uso e la produzione di queste sostanze è un pericolo per la salute pubblica. Inoltre, i dati a campione su tutto il territorio nazionale, pongono in evidenza la necessità di un intervento governativo per proteggere la salute dei cittadini e la salubrità dell’ambiente.

Cosa sono i PFAS?

PFAS sono sostanze poli- e perfluoroalchiliche. Ne esistono oltre 4700 e sono artificialmente prodotte dall’industria chimica. Vengono usate per le loro proprietà idrorepellenti e oleorepellenti, per la resistenza termica e la capacità di resistere alla corrosione, oltre che per il loro basso coefficiente di attrito.

Sono estremamente persistenti nell’ambiente e per questo motivo sono presenti nell’acqua, nell’aria, nelle coltivazioni e, al fine della filiera alimentare, anche nel corpo umano. Proprio questa loro caratteristica gli ha fatto guadagnare il soprannome di “inquinanti eterni”.

PFAS e Inquinamento dell’acqua potabile in Italia

Il report di Greenpeace ha rilevato la presenza di 58 diverse molecole PFAS nei campioni di acque potabili prelevate nelle località italiane campionate.

Questo studio, al di là dell’impatto mediatico, è importante in quanto apre un nuovo sguardo su questo inquinante invisibile e molto pericoloso per la sua diffusione. Rappresenta un primo tentativo scientifico di mappatura nazionale indipendente della contaminazione da PFAS delle acque potabili.

Infatti in ogni regione, ad eccezione della Valle d’Aosta, sono stati trovati almeno tre campioni positivi. Le molecole maggiormente rinvenute sono state il PFOA (ritenuto cancerogeno, presente nel 47% dei campioni), il TFA (presente nel 40% dei campioni) e il PFOS (ritenuto un possibile cancerogeno, presente nel 22% dei campioni).

I comuni con le maggiori concentrazioni di PFAS, oggetto di questa indagine, sono risultati essere Arezzo, Milano e Perugia. Greenpeace ha sottolineato nel suo rapporto che questi dati non sono allineati con le norme di alcune nazioni che si sono date una legislazione più complessa e attenta alla salute pubblica. Confrontando i dati italiani raccolti dall’associazione con i limiti di legge di altri Paesi, il 41% dei campioni supera i parametri danesi e il 22% i limiti posti negli Usa.

La normativa italiana, europea ed internazionale

In Italia la presenza dei PFAS nell’acqua potabile non è ancora regolamentata, in quanto siamo in attesa dell’entrata in vigore dal gennaio 2026 della direttiva europea 2020/2184 la quale, però, impone dei limiti normativi ormai superati, come ha sostenuto l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), sulla base delle ricerche scientifiche condotte negli ultimi anni dall’EFSA, l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare.

Alcuni Paesi europei, come riporta anche Greenpeace nel suo rapporto, hanno alzato il livello di protezione dei propri cittadini, portando i valori di riferimento tollerati di alcuni PFAS nelle acque potabili verso limiti molto più bassi rispetto alla direttiva europea 2020/2184. Tra questi paesi ci sono la Danimarca, i Paesi Bassi, la Germania, la Spagna, la Svezia e la regione belga delle Fiandre. Anche gli stessi Stati Uniti hanno adottato limiti più bassi per le acque potabili al fine di proteggere la salute

I pericoli per la Salute

I PFAS agiscono come interferenti endocrini, causando danni alla tiroide, al fegato, al sistema immunitario e alla fertilità. L’esposizione può causare riduzione del peso alla nascita, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo e riduzione della risposta immunitaria ai vaccini, nonché alcune forme tumorali. La loro resistenza nel tempo e la diffusione, grazie al loro largo utilizzo industriale, lo rendono un inquinante molto pericoloso per la salubrità umana.

La risposta insufficiente delle istituzioni e le lobby

La loro presenza nei campioni di acqua potabile prelevati dall’associazione ambientalista dovrebbe provocare una reazione istituzionale al fine di contrastare l’assunzione di PFAS attraverso un bene comune essenziale per la vita come l’acqua. Ma, per affrontare il problema, il rischio che le istituzioni diano una risposta insufficiente e non celere è dietro l’angolo. Come insegna la vicenda dell’inquinamento da PFAS in Italia e, in particolare, il caso Miteni in Veneto, con l’esperienza delle mamme NO-PFAS, e le problematiche sorte attorno allo stabilimento SYENSQO-SOLVAY di Spinetta Marengo Alessandria.

Bisogna aggiungere a questa lentezza delle istituzioni lo sforzo delle lobby interessate per limitare gli effetti del legislatore nazionale ed europeo. Come ha rivelato l’indagine giornalistica internazionale Forever Lobbying Project coordinata dal quotidiano francese Le Monde in collaborazione con 46 giornalisti di 16 Paesi, tra cui anche l’Italia, le industrie del settore hanno condotto in questi anni una campagna di lobbying e disinformazione portata avanti per indebolire qualsiasi proposta dell’Unione Europea di controllare e vietare le sostanze a rischio, seguendo il principio precauzione. Perché? La risposta è molto semplice, alcuni imprenditori invece di investire tutto nella ricerca di sostanze che possano sostituire i PFAS senza provocare danni alla salute, hanno preferito investire nell’azione di lobbying per resistere al cambiamento e continuare finché sarà possibile. L’impressione che si può desumere da queste scelte, è che ci sia la convinzione che gli eventuali costi sanitari dovuti a mancate decisioni istituzionali saranno sempre a carico delle istituzioni e dei cittadini. Dimenticando la funzione sociale dell’impresa a tutto vantaggio dello sviluppo economico ad ogni costo.

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