Inglesi ed europei: una lunga storia comune

Brexit significa ripudiare le proprie radici culturali, religiose e identitarie.
Participants who took part in the March for Europe in London on 02 July 2016. | usage worldwide Photo by: Ik Aldama/picture-alliance/dpa/AP Images

Per i media il tema Brexit resterà attuale a lungo, prima che l’uscita del Regno Unito dall’Ue sia cosa fatta. In ogni caso, il distacco della Gran Bretagna dal continente europeo è un fatto grave da tanti punti di vista, non ultimo l’essersi scordati, l’aver declassato e quasi snobbato un rapporto antico e profondo, storico-culturale, tra isole britanniche e continente europeo. Brexit ha significato in certo modo ripudiare non solo i partner tradizionali, ma le proprie stesse radici religiose, spirituali e identitarie.

Il perché lo vedremo subito; ma prima una riflessione. Guardando alla storia europea, popoli e Paesi hanno fatto tutti degli errori, e tutti, chi più chi meno, hanno pagato. Bisogna dire però che gli inglesi, forse, se la sono cavata più a buon mercato degli altri, col piede sempre nelle tre staffe di Europa, Usa e Commonwealth. Questo nonostante i conflitti e le crisi che hanno provocato in secoli di storia, in Europa e nel mondo: le persecuzioni religiose seguite allo scisma anglicano, la pirateria benedetta dalla Corona negli oceani, il colonialismo e le persecuzioni di Gandhi e altri indipendentisti; e poi il sostegno ai regimi reazionari come i Borboni di Napoli nell’800, il cinismo con cui hanno tracciato i confini geometrici (!) in Medioriente nella 2a Guerra mondiale, fino alla sanguinosa e sproporzionata guerra delle Malvine negli anni ’80 del ’900 e all’invasione dell’Iraq con gli Usa nel 2003, giustificata con le inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam (Blair ha fatto il mea culpa ufficiale). Gli andrà bene anche stavolta con la Brexit? Chi vivrà vedrà. Tornando al legame storico fra Europa e Gran Bretagna, ce lo ricorda un libro appena pubblicato: Oltre il fiume oceano. Uomini e navi romane alla conquista della Britannia (Laurus). Uno studio documentatissimo che ricostruisce 500 anni di storia romano-britannica, dalla conquista di Cesare alla caduta dell’impero d’Occidente, 476 d.C. La Britannia è uscita dalla preistoria ed è entrata nel mondo civile grazie ai romani e al legame profondo con l’Europa, in quei secoli dominata e civilizzata da Roma. Dopo Cesare tutti ricordano il celeberrimo Vallo di Adriano, tra Inghilterra e Scozia. Ma pochi sanno che alcuni anni dopo Antonino Pio, padre adottivo di Marco Aurelio, costruì più a nord il Vallum Antonini, da costa a costa, inglobando nell’impero gran parte della Scozia. Che non a caso, forse per un ritorno di memoria storica, oggi contesta la Brexit. Dal Medio Evo al ’500 è un rapporto continuo fra arcipelago britannico e terraferma europea, come se la Manica non ci fosse.

Dall’evangelizzazione del monaco Agostino, inviato di papa Gregorio Magno, alle invasioni di angli e sassoni (VII-VIII secolo). Dai vichinghi, sbarcati e vissuti in Britannia nell’VIII-IX secolo, fino a danesi e normanni, che con Guglielmo il Conquistatore vinsero i locali nella battaglia di Hastings (1066).

Rievocare questo non serve ad esaltare le aggressioni europee, ma a rimettere a fuoco ciò che lega da sempre la Gran Bretagna all’Europa. Alla luce di tutto ciò, la Brexit è stata una ferita alla storia. Tocca agli europei, cogliendo l’occasione del 70° dei Trattati di Roma, rispondere con un nuovo slancio verso la costruzione di una Ue più giusta e migliore. Solo così gli amici d’Oltremanica ci potrebbero ripensare, forse.

 

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