Indonesia, gli angeli della notte di Yogyakarta

Un’iniziativa coinvolgente per portare calore umano a chi vive per strada. Un gruppo di giovani e meno giovani che di notte va in cerca di persone sui marciapiedi, portando cibo. Avviene a Yogyakarta, più brevemente Jogja, una città di 3 milioni di abitanti nell’isola di Giava, in Indonesia.
Indonesia, foto GR

In Italia conosciamo l’Indonesia per Bali, nell’isola di Giava, meta di vacanze esotiche. Ora Bali è deserta e senza turisti a causa soprattutto della pandemia. Ma le isole in Indonesia sono davvero tante, e sono veramente come quelle dei sogni: spiaggie bianche, acqua cristallina. Se ne contano, secondo l’ultimo censimento aereo (impossibile altrimenti) 18.307. Vi abitano 300 popolazioni autoctone: come dire, 300 popoli senza uno stato proprio, che costituiscono insieme il più grande Stato-arcipelago del mondo, con 274 milioni di abitanti e dove si parlano oltre 700 lingue.

Eppure è gente come te e come me. L’Indonesia è un Paese che ha fatto della tolleranza religiosa il suo vanto, anche se ultimamente l’Isis sta seminando e raccogliendo adepti. Un paese dove la pandemia ha colpito forte, con 490 mila contagiati e 15.700 morti. Una notte oscura per questo splendido paese, la notte che tutti stiamo vivendo, chi da una parte chi dall’altra, nel mondo. Una notte segnata anche da mancanza di rapporti umani luminosi, mancanza di relazioni e di interesse di gli uni verso gli altri, soprattutto verso gli ultimi. Ė uno dei mali che attraversa il nostro tempo, che papa Francesco ha ben descritto nella sua enciclica ‘’Fratelli tutti’’: l’indifferenza, la cura esaperata di se stessi che porta a dimenticare l’altro, visto talvolta come una minaccia al mio benessere personale.

Qualche mese fa, quando la pandemia era già cominciata in Asia, da dove scrivo, anche a Yogyakarta tanti negozi funzionavano ormai solo poche ore al giorno per via del lockdown. E tante persone avevano perso il lavoro oppure si erano visti ridurre il salario. Sono tante le difficoltà economiche che sono sopraggiunte con la pandemia. Magari una buona salute, ma poco o nulla da mangiare!

In questo contesto, alcuni giovani (e meno giovani) professionisti di Yogyakarta, tra cui un ingegnere informatico e un chitarrista, si sono chiesti cosa potevano fare per aiutare almeno un po’ le persone pìu disagiate della loro città. Poi, inaspettatamente, un comune amico francese, proprietario di una pasticceria, li ha contattati. “Il francese”, come lo chiamano in città, ha detto che tutti giorni aveva dolci e pane che avanzavano e, siccome doveva tenere alta la qualità del suo negozio, non poteva venderli il giorno seguente. Anziché buttare tutto, e con la fame che vedeva in giro, desiderava donare quel cibo, fra parentesi buonissimo, agli orfani e alle persone povere: quelle che vivono sui marciapiedi, anche durante la notte. Chiedeva un aiuto perché il suo cibo arrivasse a chi era veramente nel bisogno. Ecco la risposta!

Detto fatto, l’ingegnere e il musicista hanno chiesto aiuto ad alcune amiche straniere, bloccate in città dalla pandemia. Una piccola squadra, ma gente decisa e di tutti i colori, persone accomunate dal desiderio di aiutare, di portare, con il pane e i dolci, anche un cuore caldo a persone che non avevano più nulla. E di notte, proprio per arrivare a chi non aveva una casa.

Così mi ha scritto uno di loro: “Ogni volta che c’erano delle paste o del pane che avanzava, il francese ha cominciato a contattarci per prenderne una o più scatole e donarle. All’inizio le abbiamo portate a un orfanotrofio che conoscevamo. Poi ci siamo buttati nell’avventura della notte, andando a cercare la gente che dormiva per strada. Ben presto abbiamo iniziato anche a cucinare ed a preparare delle scatole col cibo, che siamo andati a distribuire nelle strade. È stata un’opportunità meravigliosa anche per incontrare ‘’fratelli e sorelle’’ che abitano per strada, conoscerli di più, con le loro storie, che ci raccontavano davanti ad un pasto buono e profumato. Poco alla volta qualcuno ha cominciato a sorridere, vedendoci arrivare. Siamo tornati e ritornati, e ormai da alcuni mesi distribuiamo insieme al pane tutto quanto ci arriva da un sacco di altra gente. E molti giovani si sono uniti alla squadra iniziale.

L’ultima volta, in particolare, eravamo dubbiosi perché è cominciato a piovere. Ma vedendo la risposta dei giovani, siamo partiti sotto la pioggia. Siamo tornati a casa inzuppati d’acqua, ma anche di felicità, di umanità, di tenerezza. Era mezzanotte ed eravamo stanchi, ma felici e arricchiti”.

Ricevendo queste notizie, mi sono detto che i lettori di Citta nuova, in Italia, sarebbero stati contenti di conoscere un’esperienza del genere, in un periodo di pandemia, quando troppo spesso siamo ossessionati dal vaccino che non arriva o dalle difficoltà economiche. Questo, mi sono detto, è vivere l’essere il “buon samaritano” di cui parla Papa Francesco. Questo è aiutare con le proprie mani a cambiare il mondo. E la mia notte, la tua, quella di questo mondo che sembra impazzito, gli angeli di Yogyakarta ce l’anno illuminata.

«George – mi hanno scritto gli amici di Yogyakarta in fondo alla mail –, ti aspettiamo: andremo insieme, di notte, a cercare la gente. Manchi solo tu».

Al primo aereo disponibile, promesso, parto! Grazie amici!

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