Incendi, anche il Friuli in fiamme

La siccità estrema ha provocato danni anche nel Nord-est peninsulare, dove sono solite piogge abbondanti. Tra i maggiori problemi, incendi e scarsità idrica.

Si contano numerose barzellette e gag sul fatto che il Friuli sia “il pisciatoio d’Italia” e che ai suoi abitanti cresca il muschio sulla schiena, a causa delle piogge solitamente molto abbondanti (chi scrive conferma che, pur essendo veneta, una volta trasferita qui ha avuto qualche difficoltà ad adattarsi al clima); eppure l’eccezionale siccità di quest’anno ha colpito a dispetto della nomea della regione, causando sia problemi di approvvigionamento idrico che di incendi. E c’è poco da scherzare e raccontare barzellette se teniamo conto che ieri, 21 luglio, il fuoco ha fatto la sua prima vittima: Elena Lo Duca, coordinatrice della Protezione Civile, che stava contribuendo a spegnere un incendio a Prepotto (Udine).

Ad essere maggiormente colpito non è stato in realtà il Friuli ma la zona giuliana del Carso – che a onor del vero anche in anni “normali” è più secca, dato che l’acqua non rimane in superficie ma scende sotto terra attraverso la roccia carsica. Già da giorni diversi focolai hanno finito per unirsi in un unico, grande incendio arrivato a coprire tutto il Carso, fino alle vicinanze di Gorizia e anche alla vicina Slovenia. Le cause non sono certe e potrebbero anche essere più d’una, considerando appunto che di focolai diversi si tratta: per uno di questi l’ipotesi più accreditata è che sia stato causato dalle scintille di un treno in frenata, che ha incendiato le sterpaglie.

Trieste si è trovata sostanzialmente isolata dopo la chiusura dell’autostrada – ora parzialmente riaperta – e della ferrovia, rendendo necessario istituire un servizio di trasporto via mare. Non si è per ora concretizzato il rischio di un blackout in città a causa del danneggiamento delle linee elettriche in arrivo dalla Slovenia, dopo che già erano state interrotte quelle italiane, che comporterebbe anche l’impossibilità di rifornire l’acquedotto tramite le pompe; ma rimane comunque attuale.

Due frazioni del comune di Doberdò del Lago e di Duino Aurisina sono state evacuate dopo che le fiamme avevano lambito le abitazioni, e i tremila operai della zona industriale e portuale di Monfalcone sono stati lasciati a casa dal lavoro a causa dell’aria irrespirabile – sono state misurate 1600 ppm di Pm10 su metro cubo d’aria, contro un limite di 50. Sempre per questo motivo, in diversi comuni dell’area i sindaci hanno emesso ordinanze affinché la popolazione esca di casa solo indossando mascherine. Il fumo è visibile in buona parte del territorio regionale, e vigili del fuoco e volontari della protezione civile sono ancora al lavoro. Tra le difficoltà che si trovano ad affrontare c’è anche quella degli ordigni inesplosi della Prima Guerra Mondiale ancora sepolti in zona: una decina sono esplosi a causa del fuoco, fortunatamente senza vittime.

In Friuli i maggiori focolai sono quelli di Drenchia, nelle Valli del Natisone, e della Val Resia. A destare preoccupazione è soprattutto il secondo, con la valle isolata; e il rischio che le fiamme arrivino fino alla statale 13 e all’autostrada A23 tagliando le comunicazioni viarie e ferroviarie anche verso Tarvisio, un’arteria di comunicazione di grande importanza e senza alternative realmente praticabili.

Numerosi altri comuni hanno poi registrato incendi di minore entità, per cui l’allarme è stato esteso dalle autorità regionali a tutto il territorio. Anche in questi casi, le cause non sono state identificate; ma secondo i vigili del fuoco, foss’anche in maniera “solo” colposa e non dolosa, c’è sempre dietro in qualche modo la responsabilità dell’uomo.

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