In corsa per salvare Michael

L'esecuzione di un detenuto modello e il ritorno della fucilazione hanno riacceso il dibattito negli Usa. Marco Bragazzi è in contatto con Michael Perry, detenuto texano, la cui esecuzione è prevista per il 1 luglio.

Il 15 giugno è stato giustiziato in Texas David Powell. Era nel braccio della morte da 32 anni, e aveva dimostrato di aver cambiato vita. Ma il fatto che il sistema carcerario avesse raggiunto quello che dovrebbe essere uno dei suoi obiettivi primari, ossia il recupero del reo, e quindi fosse caduta la ragione per eseguire la sentenza, non è stato sufficiente a ricevere la grazia. Il 18 giugno, nello Utah, la stessa sorte è toccata a Ronnie Gardner, condannato nel 1985 per duplice omicidio. È stato il terzo condannato dal 1976 – anno di reintroduzione della pena di morte negli Usa – a scegliere di essere fucilato.

 

Due casi che, per motivi diversi, hanno fatto scalpore, e hanno riacceso il dibattito sulla pena di morte negli Stati Uniti. Pena che è stata applicata sinora 1217 volte, di cui 29 nel 2010, ed è praticata da 32 Stati della federazione. La geografia delle esecuzioni, tuttavia, mostra delle notevoli differenze all’interno del territorio nazionale: secondo il Death penalty information centre, oltre l’85 per cento di queste è sinora avvenuto nel Sud del Paese, e a spartirsene più della metà sono Virginia e Texas. E proprio in Texas sono programmate le prossime due condanne a morte, il 30 giugno per Jonathan Green e il 1 luglio per Michael Perry. Città Nuova si è messa in contatto con Marco Bragazzi, giovane di Latina che da oltre un anno, grazie alla Comunità di S. Egidio, è in corrispondenza epistolare proprio con MIchael.

 

La sua storia, come quella di tanti altri che si trovano dietro le sbarre, parte da una vita difficile: adottato all’età due anni, ha passato l’infanzia tra ospedali psichiatrici e riformatori a causa della sua presunta iperattività – che si è poi scoperto essere in realtà disordine bipolare – finendo sulla strada a 18 anni. Si è quindi dato allo spaccio di droga per sopravvivere, e da lì ad iniziare ad usarla il passo è stato breve. L’intricata storia di come sia arrivato nel braccio della morte con l’accusa di omicidio, nonostante i dubbi esistenti sulla sua colpevolezza – da impronte sul luogo del delitto che non combaciano con le sue, alla dichiarazione del medico legale che farebbe corrispondere l’ora dell’assassinio ad una in cui Michael non avrebbe potuto essere lì, ad una confessione estorta in seguito a percosse della polizia e documentate dai medici che l’hanno curato, poi ritrattata – è riportata con dovizia di particolari e documenti sul sito savemichaelperry.info. «Michael ha 27 anni – riferisce Marco – ed è nel braccio della morte da 7, contro una media di 9. Ha avuto un iter legale particolarmente veloce, nonostante tutte queste incongruenze».

 

Una volta conosciuta la storia, Marco ha deciso di fare qualcosa: «Con l’aiuto di un sacerdote di Latina – racconta – abbiamo costituito un’associazione per poter dare più credito alla nostra attività di sostegno alla causa di Michael. Abbiamo raccolto 2000 dollari per le spese legali, ma a quanto ci risulta ne sono stati usati solo 800: è stato tutto inutile». Una squadra di avvocati, di cui alcuni anche celebri, sta tentando l’ultima carta di un appello in extremis o della grazia, «ma per ora non ne abbiamo saputo nulla».

 

Nonostante i tempi piuttosto lunghi tra una lettera e l’altra, in quest’anno tra i due è nata un’amicizia: «La cosa più importante – afferma Marco – è fargli sentire che c’è qualcuno che gli vuole bene. Mi ha chiesto fin dall’inizio di non inviargli cartoline, perché sono “fredde”, ma soltanto lettere: un detenuto ha bisogno di “conversazione”». Peraltro, la situazione di Michael non è facile anche per altri motivi: «La settimana scorsa è morto il padre adottivo, e Michael soffre di bipolarismo: basta davvero poco sia per portarlo all’euforia che alla depressione». A colpire Marco è stata soprattutto la grande fede di Michael, il suo concepirla «come un appiglio vero, non fittizio. Conclude ogni lettera con il suo motto Always smile, sorridi sempre». Cosa non certo facile da fare: «Se sai sorridere lì – prosegue Marco – sai sorridere ovunque. Il carcere è un luogo in cui ogni giorno ti viene ricordato che sei tagliato fuori dalla società. All’esecuzione arrivano uomini che psicologicamente sono già morti». Del resto, anche il regime alimentare non aiuta: «Seguono una dieta scorretta, a pranzo ricevano solo due fette di pane con burro di arachidi: anche il non mantenerli in forze è un modo per fiaccare la loro forza di volontà ed evitare ribellioni».

 

Il segno forse più tangibile di quest’amicizia è stato l’invito rivolto da Michael a Marco ad andarlo a trovare in uno dei tre giorni precedenti all’esecuzione, in cui ai condannati viene concesso di ricevere visite per otto ore. «Purtroppo per me non è fattibile – spiega Marco – per cui, oltre ad organizzare una veglia di preghiera, davvero non posso fare altro. Gli ho scritto una lettera due settimane fa, ma ancora non ho ricevuto risposta. E ormai il tempo stringe».

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