In cammino con gente vera

Da tempo coltivo un sogno: fare il cammino di Santiago de Compostela. A febbraio accadono eventi che quasi mi impongono di andare. Parto dopo aver cercato inutilmente compagni di ventura. Questa solitudine che pareva negativa sarà invece una grazia. Non ho avuto un compagno di viaggio, perché alla fine ne ho avuti tanti. Ho dialogato in inglese, italiano, francese, spagnolo, a gesti. Con tutti ci siamo capiti, con tutti abbiamo comunicato; a volte è bastato un semplice sorriso. Ho tempo limitato, perciò inizio il cammino circa 300 chilometri prima di Santiago. Raggiungo il mio punto di partenza un sabato pomeriggio freddo, limpido e assolato. A messa sono uno dei pochissimi maschi, come sempre sarà qui in Spagna. All’omelia capisco una sola frase: Dios es poderoso!. È un’immagine bellissima, che mi accompagnerà nella via… Dopo un primo giorno di rodaggio, il secondo riesco a partire per ultimo, aspettando una messa che non c’è. Quasi tutta la giornata da solo, valicando monti sotto una pioggia che a momenti diviene ghiaccio. E sempre con l’ansia di perdere la strada, quando non si trova la flecha gialla che indica quella giusta. Dopo chilometri e chilometri scorgo da lontano due persone con gli zaini, e quasi corro per raggiungerle: tutto sommato, sono un essere socievole! Arrivo col fiatone alle loro spalle. Joke e Leen, fiamminghe, hanno l’età dei miei figli. Non si capirà mai in che lingua dialoghiamo. Saremo spesso insieme, fino a Santiago. La pioggia è continua. A sera nell’albergue cena comunitaria. Dopo cena Joke, con tono meravigliato, mi dice che io sorrido sempre… Il giorno dopo è duro: non si arriva mai, gambe a pezzi, un cane aggressivo che mi costringe a cambiare strada. Provo una commozione intensa, inebriato dai profumi. Da lontano un’anziana coppia torna a piedi dal lavoro in campagna, probabilmente. Quando ci incrociamo auguro loro: Buen camino! e la donna mi ricambia: Egualmente! . Ho come l’impressione di aver incontrato papà e mamma, scesi dal cielo a darmi un sostegno. E poi i miei angeli custodi di sempre, i miei tre figli; all’insaputa l’uno dell’altro mi scrivono degli sms proprio oggi: Sono fiero di te, sei un grande!; Dev’essere un’esperienza fantastica. Magari un giorno la rifaremo insieme; Papi, sto sempre con te!. Arrivo a fatica, in mezzo a fango e letame di vacche, in un paesino sperso tra i monti. La sera prima avevo detto ai miei compagni di cammino che avrei volentieri cucinato per loro pasta alla carbonara, e qualcuno se ne ricorda. Andiamo a fare spesa, senza sapere che qui non esistono negozi. Riusciamo solo a recuperare una ventina di uova, patate e tonno. Spuntano fuori degli spaghetti e organizzo spaghetti al tonno per tredici. Abbiamo anche del buon viño tinto… si mangia e si beve in un clima di famiglia. Non abbiamo ancora finito di mangiare, e dei ragazzi americani sono già a lavare piatti. Resto senza parole: dove sono i luoghi comuni sui giovani, specie los americanos? Stanno camminando nel fango e sotto la pioggia con scarpe da ginnastica: alla sera le asciugano con giornali infilati dentro e la mattina le rimettono. E qui sento il nuovo mondo: hanno altri meccanismi mentali, viaggiano con pochissime cose, tra cui frisbee e scacchi. A fine cammino avrò incontrato molti più nordamericani che italiani. Tutti giovani, e splendidi. Dopo cena rimango quasi scioccato da Leen che mi chiama madre. Io la correggo, ridendo: Padre, caso mai!. Ma che scemo sono: un complimento così, e quando mi ricapita? La mattina dopo si parte nella neve, altro valico in piena tormenta. Questi sentieri sono percorsi da circa un millennio da pellegrini. Milioni di piedi mi hanno preceduto, ma non trovo mai tracce di eccessi, di deterioramenti. Come fossi io il primo nella storia… Qui, dove la vita pare ferma al medioevo, mi sento dentro al libro di Follett I pilastri della terra… E mi viene da urlare al cielo. Tanto più che sono solo e certo non sconvolgo nessuno. Siamo io e Dio, qui presente in tutto. Arrivo zoppicante, esausto, a sera ritrovo una ragazza tedesca già incontrata. Parla molte lingue, ma soprattutto abbiamo una sintonia spirituale profonda. Brigitte la sento una sorella vera. Faremo insieme gran parte del viaggio. La sera dopo, a messa, ci riconosciamo in otto del cammino. Una giovane signora spagnola, in viaggio col suo bambino, s’informa sul perché di questo mio percorso. Sono qui per ringraziare Dio della sua fedeltà, per rendergli testimonianza, e chiedere un miracolo. La mattina seguente riparto nel ghiaccio e in una fitta nebbia. Mi sento la febbre, sto malissimo e devo fermarmi presto. Le persone con cui ho fatto famiglia vanno avanti… Questa solitudine è la vera grazia del cammino. Ovvero: Dio solo, vivendo l’adesso quasi senza futuro. Mi rendo conto che non ho nulla se non questo zaino con poche cose, che forse sono pure troppe. E la libertà vera è in questa povertà dello spirito in cui sempre più mi ritrovo. Prendo un’aspirina e passo una notte difficilissima. Quando mi sveglio mi sento bene, incredibilmente. E in grado di fare 33 chilometri in una giornata. Sempre da solo, parto immerso nella nebbia che poi diviene pioggia. Dopo non so quanti chilometri mi fermo in un bar a riposarmi un attimo. Finalmente un caffè bevibile! Lo dico al barista, che fraternizza e mi chiede: Como va el camino?, indicando la testa. Ovvero, interpreto: Camminare ti sta risolvendo la pazzia, dato che siete pazzi, sennò stavate a casa?. Rido, e gli dico che va muy bien! Più avanti, incontro Paolo, un italiano finalmente, che ha l’età dei miei figli; iniziamo subito un fitto dialogo. A sentir lui, sono il primo che incontra a parlare di Dio. Nel cammino la cosa più interessante è trovare il sé vero, e quindi l’altro. Un altro sempre diverso: c’è una grande bellezza in movimento verso Santiago, qualunque sia la causa che muove i passi. Il cammino costa fatica, dolore. E questo vale, anche senza credere in Dio amore. È comunque un mettersi in discussione. E questo spiega la bellezza, seppur varia, delle creature che insieme a te camminano. È giovedì santo – giornata fredda, cupa, piovigginosa – quando arriviamo nella agognata Plaza de Obradoiro. La cattedrale è davanti a noi, maestosa. Siamo un bel gruppetto, e quasi non ci par vero di esser giunti al termine del cammino! Andiamo a ritirare la Compostela, ovvero il diploma che attesta il pellegrinaggio. Riempio una scheda, in cui se ne chiede il motivo. Sono l’unico ad aver segnato: religioso – solamente. Piango. Mi rendo conto che un miracolo è comunque già avvenuto: il mio cuore pare tornato di carne, come ai tempi della mia bella gioventù. Zoppico vistosamente, sono stravolto ma contento. Ho urlato al cielo il mio dolore, pregato, pianto. In dodici giorni ho percorso circa 300 chilometri. Fango, pioggia e neve, vento, tendinite, stanchezza, febbre, e soprattutto solitudine. Ho dato, ma soprattutto ho ricevuto. Tutto è esperienza di Dio nella vita, ma questi giorni sono stati qualcosa di particolare. Di solito il problema è azzerare il rumore, per giungere al silenzio vero, in cui tutto tace e finalmente Dio può sussurrare… Diceva Silone: Il destino è invenzione della gente fiacca e rassegnata . E qui cammina gente che il destino se lo costruisce. Gente vera in cerca, il più delle volte, della Verità.

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