Impressionismo, un grande amore

Il campo di papaveri vicino a Vétheuil, un miracolo di vitalità. I salici, anzi il salice che si espande in un silenzio austero (De Vigny), il prato percorso da una brezza di primavera. E, sopra tutti, i Fiori a Vétheuil, con la Senna mormorante a distanza, il paese sfocato, ma in primissimo piano una natura esplosiva, priva di presenze umane. Fra le cinquanta tele di Monet, fra le sue ninfee amate, questi Fiori mi appaiono finalmente belli. Si chiudono gli occhi, si ritorna ai momenti di incontro confidenziale con la natura, ed essa riemerge dal nascondimento dell’anima, annullando il tempo: sempre è stata presente, mai se n’è andata. Che sorpresa, questo regalo di Monet. Ma anche di Sisley, del suo Prato vicino a By – nubi sull’etere fluido -, della sua Riva della Senna a Veneux, un brivido d’inverno. E poi di Pissarro, che incanta nel Ponte in pietra a Rouen nella nebbia dorata del mattino, e di Renoir con La barca in tocchi ed emozioni, a filamenti diluiti e pungenti. Oltre cento opere, una molteplicità di stili, di visioni, di angolazioni poetiche: il mondo dell’Impressionismo. In questo mondo che dipinge – nella rassegna bresciana – lo scorrer della Senna verso l’Oceano, dove il fiume è sorgente di vita e di contemplazione per chi ci vive e per chi lo vede, la fantasia si accarezza ma pure si colma di dolorosa nostalgia, perché questi fiumi alberi monti prati e fiori – quest’universo creato, insomma – col suo armonioso riannodarsi in stagioni riempite di luce sempre diversa, pare oggi concluso: un eden perduto, una natura introvabile ormai nella nostra progredita (?) civiltà occidentale. Se poi a Torino – nei circa 150 lavori da tutto il mondo – ci immergiamo nel tema della neve così come gli impressionisti l’hanno sentito e poeticamente succhiato e offerto in Francia ed in Europa, stupore e dolore si danno la mano. Nella Strada d’inverno a Giverny (1889) Monet ci fa sentire il gelo del cielo e della terra, mentre Sisley (Neve a Louveciennes, 1878) ne indaga il calore avvolgente, Courbet (Paesaggio di neve con capriolo, 1868) esplora la vita magica di animali e foglie nel sottobosco, Gauguin fotografa in una Parigi d’inverno (1894) i rami dissossati come anime stanche. Domina il bianco, in variazioni che trascorrono dall’argento al bruno all’azzurro. Appare una bellezza trasfigurante la realtà. Eppure, gli impressionisti son certi, dipingendo en plein air, di descriverla la realtà, di non tradirla. Solo che la rappresentano come sanno fare gli artisti o i mistici: partendo da essa, ne estraggono la radice luminosa. E tutti noi, almeno per quei momenti in cui contempliamo le loro opere, assaporiamo il contatto co qualcosa di infinito e di reale: ci sentiamo appagati. Se confrontiamo i francesi con i colleghi europei contemporanei, con il Segantini di Primavera sulle Alpi, irrorato di luce candida, o con la Notte bianca (1909) di un Münch dai geli surreali, con il Disgelo dell’ungherese Pál Szinyei Merse o l’Inverno sulla costa di Mesdag dal realismo stupefacente, ci accorgiamo che anch’essi sono mossi da un innamoramento della natura: essa si imprime nella memoria e nella fantasia, è presenza che li accompagna e vuole essere oggetto di un amore appassionato. Noi, come questi artisti, ammiriamo l’incanto di luoghi e di stagioni che ormai, però, sembrano appartenere solo ai dipinti, tanto da diventare più luoghi dell’anima, bisogno interiore, perché nella realtà questo mondo – fatto di luci di acque di piante mutevoli ad ogni stagione – sembra lontano, quasi inesistente. Allo stupore si unisce perciò il dolore per qualcosa che si sta spegnendo intorno a noi. Come se la natura, oggetto di violenza dal progresso dell’uomo, si stia ritirando da lui: oggi il cielo non è più quel cielo, i fiori quei fiori… il paesaggio quello che i poeti-pittori impressionisti hanno raccolto come un dono della vita. Pure, di queste atmosfere non riusciamo a farne a meno, tanto ci appartengono intimamente. Ecco forse il motivo – uno dei motivi – dell’infittirsi di rassegne sull’argomento, dell’accorrere di vere folle di visitatori, assetati della verginità e dell’incanto che emanano dalle tele dell’Impressionismo, ben oltre il fenomeno turistico di massa o l’astuzia affaristica degli organizzatori. C’è e resiste in fondo all’anima dell’uomo occidentale qualcosa che si vuol prendere la rivincita da ciò che si è voluto comprimere in nome di una disarmonica presente ovvietà. È l’originaria bellezza della creazione, alla quale tutti noi siamo assolutamente legati in unità. Essa richiama e noi, per fortuna, non ci sappiamo rinunciare. Monet, la Senna le ninfee. Brescia, Museo di Santa Giulia. Fino al 20/3 (catalogo Linea d’ombra). Gli Impressionisti e la neve. Torino, Palazzina della promotrice delle Belle Arti, Parco del Valentino. Fino al 25/4 (Catalogo Linea d’ombra).

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