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Il Vietnam di mons. Van Thuan: «L’amore cristiano può vincere tutto»

di George Ritinsky

- Fonte: Città Nuova

C’è una lunga storia di collaborazione tra Chiesa cattolica e Repubblica socialista del Vietnam, dove i cattolici godono, ormai da anni, di buone relazioni con le Agenzie dello Stato: una storia che ha tra i suoi costruttori mons. Van Thuan, il vescovo vietnamita di cui è in corso la causa di beatificazione. Il mio amico mons. Van Thuan

Papa Giovanni Paolo II riceve il saluto del nuovo cardinale Francois Xavier Nguyen Van Thuan (Vietnam), della Diaconia di Santa Maria della Scala, dopo aver infilato l’ anello alla sua mano destra durante la prima Messa da cardinali per i 44 nuovi porporati, in piazza San Pietro. 22 febbraio 2001 VATICAN POOL / ANSA / PAL

Il mio primo viaggio in Vietnam è datato 1989, per esplorare le possibilità di investimento di una delle aziende con le quali collaboravo a quel tempo. Ero un 24enne scatenato che risiedeva in Thailandia da pochi anni: mi sono trovato a Saigon (Ho Chi Minh City) in un Paese veramente povero: ovunque gente affamata che chiedeva l’elemosina, biciclette a non finire. Ero sconcertato! La notte andavo a trovare i cristiani quasi di nascosto. Erano già gli anni della doi moi, della “riforma trasparente” e l’esodo dei boat people si era quasi fermato, ma l’esercito del Vietnam era ancora in Cambogia.

Durante i miei viaggi di lavoro e di visita ai molti amici che mi ero ben presto fatto, non sono mai sono stato fermato, interrogato o altro dagli agenti dei servizi di sicurezza. Certo, a volte li vedevo attorno a me, o almeno mi sembravano tali: gente in moto, in triciclo… ed io cercavo di avvicinarli e parlare con loro, senza paura. Dall’89 al ’95 (quando poi sono rientrato in Italia per un periodo), ho sempre goduto di una grande libertà di movimento. E le cose che più mi stupivano erano le grandi chiese affollate all’inverosimile, gli incontri sui tetti delle università (confiscate agli istituti cattolici) che potevamo avere con tanti, tantissimi giovani.

La Chiesa cattolica già a qual tempo iniziava a godere di una notevole libertà; dopo aver passato momenti di persecuzione, come nel 1954 con la fuga dei cristiani verso il sud del Vietnam e verso la Thailandia; e anche nel 1975, alla fine della guerra, con l’arresto e l’incarcerazione dei suoi leader, come mons. Francis Xavier Nguyen Van Thuan, che ho poi conosciuto personalmente dopo la sua liberazione nel 1992: aveva passato 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamento. Nessuno può cancellare quegli anni e quelle sofferenze. Ma la testimonianza di mons. Van Thuan, del suo perdono esplicito donato alle guardie, ai loro superiori e dirigenti di partito, che lo avevano incarcerato ingiustamente e senza processo, è stata una vera bomba contro l’odio e le vendette.

La vita di questo martire (testimone) ha segnato un passo fondamentale nella strada della riconciliazione nel Paese e anche tra diverse correnti all’interno della Chiesa Cattolica, tra coloro che volevano, e vogliono ancora oggi, una certa contrapposizione contro il regime comunista, e sono principalmente le fazioni cattoliche del vecchio sud vietnamita, ma anche alcune confessioni cristiane di origine statunitense; e altri, invece, che hanno perdonato e deciso di collaborare pacificamente, in modo intelligente e diplomatico con il Governo. Due modi di intendere i rapporti tra Stato e Chiesa (e direi anche la fede stessa) molto diversi.

Dal ’90 ad oggi, ha però prevalso la politica adottata in Vaticano anche con la Cina e gli altri stati comunisti: cioè che “un buon cristiano è anche un buon cittadino”. Insomma, collaborare per riconciliare e curare le ferite e il dolore di decenni di guerra. Ma, come sempre, ci vogliono esempi autentici e non solo parole: e mons. Van Thuan (di cui è avviata dal 2010 la causa di beatificazione) è stato e continua ad essere un esempio vivente di riconciliazione nazionale: mai una parola di rivendicazione, di odio, di rivalsa contro chi lo aveva incarcerato; ma un amore evangelico concreto, delicato, fatto anche di perdono e persino di piccoli doni ai suoi carcerieri. Questi esempi di vita evangelica costituiscono, a mio avviso, la spina dorsale dell’atmosfera che si respira tra la Chiesa cattolica ed il Governo del Vietnam oggi, nel 2025, che porterà presto all’apertura di rapporti diplomatici tra Santa Sede e Repubblica Socialista del Vietnam.

Ancora un esempio concreto: mi ha confidato un operatore italiano di un ente, che lavora in Vietnam da decenni, che al Ministero di Giustizia (vietnamita) molti sono edificati da come le suore cattoliche curano gli orfanotrofi, procurano i documenti, nonostante le molte difficoltà burocratiche, ai bambini che trovano spesso davanti alla porta dei conventi e delle chiese, e curano la salute dei piccoli a loro spese. Ha affermato un alto funzionario in un incontro istituzionale: «Sento il dovere di dire apertamente che, con gli istituti delle suore cattoliche, il Governo vietnamita non ha nessuna difficoltà e riceviamo la massima collaborazione in fatto di documenti redatti secondo i termini di legge, ed ogni richiesta di adempimenti. Siamo edificati. È molto diversa la situazione con altre istituzioni religiose non cattoliche, con le quali dobbiamo spesso lottare affinché i bambini siano forniti dei documenti necessari per un loro futuro migliore».

Ancora oggi le tensioni in fatto di “libertà religiosa” restano forti con gruppi cristiani indipendenti legati ad alcuni donatori stranieri, come anche a gruppi buddhisti, sempre sponsorizzati da oltre oceano.

Io credo nella diplomazia, e come diceva il mio amico mons. Van Thuan: «L’amore cristiano può vincere tutto. La pace deve essere bilaterale, e chiedere perdono deve arrivare da entrambe le parti insieme, portando ad una piena riconciliazione. Senza questa, la pace è solo un riposo per riprendere la guerra».

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