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Il Veneto al voto per il dopo Zaia

di Chiara Andreola

- Fonte: Città Nuova

Cinque i candidati alle regionali del 23 e 24 novembre. Grande favorito il giovanissimo esponente di centrodestra, Alberto Stefani, ideale successore dell’uscente Luca Zaia; mentre il centrosinistra conta sull’ex sindaco di Treviso, Giovanni Manildo, noto per il suo saper parlare anche al di là dei propri confini di partito

Nella combo, in alto da sx Marco Rizzo, Riccardo Szumski e Fabio Bui; in basso, da sx Alberto Stefani e Giovanni Manildo, i candidati alle Elezioni Regionali per il Veneto. (Foto da Facebook via Ansa)

In molti hanno definito le prossime elezioni regionali in Veneto un po’ come un telenovela: prima per la tanto dibattuta questione del possibile terzo mandato all’uscente Luca Zaia (che in realtà di mandati ne ha già fatti tre, a partire dal 2010, ma il primo è antecedente all’entrata in vigore del limite di due mandati); poi per la complicata individuazione del suo successore, nodo del contendere sia tra Lega e FdI che all’interno della Lega stessa, alla fine trovato nel giovanissimo (33 anni) leghista Alberto Stefani (nome noto in quanto già deputato, segretario della Liga Veneta, vicesegretario della Lega nazionale e sindaco di Borgoricco, a dispetto della giovane età). In realtà, dopo questa prima fase feuilleton, le cose hanno preso una piega assai più lineare.

Il centrodestra si è infatti ordinatamente compattato attorno alla figura di Stefani, sostenuto dal “traino” di Zaia che si è candidato come capolista in tutte le circoscrizioni – come aveva annunciato nel caso in cui non avesse potuto correre per un ulteriore mandato. I vari sondaggi lo danno attorno al 63%: meno del 76,8% “record” di Zaia nel 2020, ma comunque una percentuale che garantisce una vittoria agevole. Sono naturalmente in molti a chiedersi come raccoglierà l’eredità di Luca Zaia, che pure – per quanto non si sia mai sbilanciato rispetto a suoi eventuali futuri incarichi – rimarrebbe in ogni caso una presenza fattiva in Regione.

Il “campo largo” del centrosinistra (Pd, M5S, Volt Europa, Avs e altre civiche) si è altrettanto compattato attorno a Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso, al quale è a suo tempo riuscita l’impresa di farsi eleggere primo cittadino nella città che prima di lui aveva votato per leghisti “duri e puri” come lo “sceriffo” Gentilini e il suo successore Gobbo: una personalità capace dunque di parlare anche al di fuori del proprio partito, ma che però – almeno stando ai sondaggi – si fermerebbe comunque ben al di sotto del principale avversario, attorno al 27% (comunque 7 punti al di sopra dei risultati ottenuti dal centrosinistra e dagli altri candidati del “campo largo” nel 2020, quando avevano corso separati). C’è poi la lista Resistere Veneto con Riccardo Szumski, noto per le sue posizioni “dissidenti” – dall’essere “free vax”, alle vivaci critiche all’Ue – che si proietta verso il 6% (al di là delle più rosee aspettative della prima fase della campagna elettorale); Popolari per il Veneto con Fabio Bui (dato poco sotto il 2%); e l’ex comunista Marco Rizzo con Democrazia Sovrana e Popolare, una lista “sui generis” dai tratti populisti (dato poco sotto il 3%).

Per il resto, la campagna elettorale è stata caratterizzata, a detta di diversi commentatori, da toni relativamente distesi tra i due principali sfidanti: sia Stefani che Manildo, infatti, si sono distinti per essere persone che agli attacchi diretti hanno preferito la dialettica. Non solo: essendo entrambi esponenti moderati dei propri partiti, anche la discussione su vari punti dei rispettivi programmi non ha mai riservato grandi scintille – eccezione fatta per un “vessillo” della Lega come l’autonomia regionale, battaglia che il centrosinistra giudica invece fallita e fallimentare: e su questo tema si registra infatti proprio oggi, 18 novembre, la polemica più accesa, in quanto il ministro Calderoli è a Venezia per la firma della pre-intesa con il Veneto sull’autonomia. Una mossa bollata dal centrosinistra come “blitz elettorale”, vista la coincidenza temporale con la chiusura della campagna di Stefani a Padova – a cui peraltro è prevista la presenza della stessa Giorgia Meloni.

A parte questo, a detta di molti commentatori, le posizioni dei due principali candidati hanno in realtà rivelato diversi punti di più o meno marcata convergenza. Lo slogan di Stefani è “Sempre più Veneto”, e identifica in giovani, politiche sociali, ambiente (definito “non un’esclusiva del centrosinistra”) e innovazione le sue priorità; mentre il programma di Manildo propone come propri pilastri la sanità (con un piano straordinario di assunzioni), lavoro (in particolare giovanile), emergenza abitativa, infrastrutture e trasporti (con il rilancio della metropolitana di superficie), energia e territorio (con impegno per le rinnovabili e contro il consumo di suolo).

In testa alle preoccupazioni dei veneti c’è in effetti la sanità, indicata da quasi metà degli intervistati come priorità secondo un sondaggio pubblicato dal Corriere del Veneto, e in maniera trasversale agli schieramenti – nonché tra gli indecisi: e qui troviamo l’altro punto del programma su cui si sono un po’ più scaldati gli animi, date le critiche alla “gestione Zaia” – con le sue controverse aperture al privato allo scopo dichiarato di ridurre le liste d’attesa – che già da anni arrivano dall’opposizione. A seguire vengono sicurezza – con però forti differenze tra centrodestra e centrosinistra – e, in maniera più trasversale, trasporti, lavoro e politiche sociali.

Nelle elezioni regionali di quest’anno è entrato anche un altro fattore: quello dei tanti oriundi veneti, che in alcuni Comuni arrivano a superare i residenti. Il vertiginoso aumento delle richieste di cittadinanza italiana negli ultimi anni da parte dei discendenti degli emigranti, in particolare dal Sudamerica – con tanto di fiorire di agenzie ad hoc, che si fanno profumatamente pagare per il disbrigo delle pratiche – non solo è arrivato a paralizzare il lavoro di molti Comuni per poter soddisfare queste richieste; ma pone anche adesso l’obbligo, non esistendo da possibilità di voto dall’estero per le regionali (a differenza delle politiche) di inviare agli iscritti all’Aire tutta la documentazione informativa relativa al voto e all’eventuale richiesta di contributo economico per il viaggio.

Sempre il Corriere del Veneto porta l’esempio di diversi Comuni del bellunese, con poche migliaia di abitanti e altrettanti concittadini all’estero, che devono spendere cifre nell’ordine di una decina di migliaia di euro, più le ore di lavoro dei dipendenti, per contattare elettori che – quand’anche fossero reperibili, perché spesso non lo sono e le lettere inviate ritornano indietro – non si presentano comunque mai alle urne. Di qui un’ulteriore richiesta al governo di affrontare la questione, non solo con una stretta sulle richieste di cittadinanza – come già fatto con il decreto Tajani – ma anche con una riforma in materia elettorale.

Infine, è da segnalare l’intervento dei vescovi veneti del 15 novembre scorso: i presuli hanno infatti firmato un documento congiunto di invito alla partecipazione al voto (c’è da ricordare che anche qui, regione storicamente molto attiva sul fronte elettorale, l’astensionismo arriva ormai in media a circa un elettore su tre), in cui lanciano anche alcuni appelli ai candidati. Tra questi, «impegno per i giovani e con i giovani nel favorirne opportunità di lavoro e possibilità concrete di trovare casa», l’attenzione ad uno sviluppo del territorio «integrale, sostenibile e inclusivo» con «la cura del creato, attenzione alla desertificazione delle aree interne e montane e al tema dell’inquinamento dell’aria, dei terreni e dell’acqua», i migranti da considerare non «soggetti da cui difendersi o unicamente come forza lavoro, ma come persone con cui costruire insieme il futuro», e la tutela della vita fin dal concepimento e del diritto alla salute.

«In questo particolare momento sono diverse le questioni che ci motivano ad andare a votare nelle prossime elezioni regionali del Veneto – scrivono i vescovi –. La politica è un modo esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri e ogni cristiano è sempre chiamato a questa carità, secondo la sua vocazione e le sue possibilità d’incidenza nella vita della polis. Nessuno può abdicare alla sua responsabilità sociopolitica, né può limitarsi a consegnare ad altri deleghe in bianco. Per questo il libero voto per la promozione del bene comune rimane un diritto ma è anche un dovere».

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